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 2016  maggio 27 Venerdì calendario

In morte di Loris Capovilla

Franca Giansoldati per Il Messaggero
Si è spento con il sorriso don Loris, 100 anni compiuti ad ottobre, nella sua casa piena di libri, a Sotto il Monte, nel bergamasco. Era il cardinale più anziano del Collegio Cardinalizio, ma anche il più speciale. Loris Capovilla è stato il custode delle memorie di Giovanni XXIII. Ne ha curato gli scritti e i volumi, è stato il fedele esecutore degli orientamenti conciliari, la memoria vivente sui retroscena dell’avvio del Vaticano II, tra tante forze contrarie e tante speranze, mentre il Papa Buono insisteva fiducioso: «quella è la via per la Chiesa». Papa Francesco due anni fa ha voluto fare cardinale don Loris, ammirando in lui la semplicità con la quale ha custodito una eredità tanto importante. «Per favore non chiamatemi eminenza. Sono e sarò sempre don Loris». Con la berretta rossa la sua vita non è cambiata di una virgola. Le messe mattutine, gli scritti, le letture, gli aiuti ai poveri, la preghiera, le conversazioni con gli amici del paese. Due anni fa, alla notizia della santificazione di Giovanni XXIII, Capovilla raccontò di essere rimasto a lungo immerso nel silenzio. «Ero contentissimo, ma non per me, per lui, per Papa Giovanni che così tornava a riprendere il suo posto nel cuore della gente, anche se immagino che non sia mai stato dimenticato da nessuno».
I DUE PONTEFICI
Per la canonizzazione dei due Papi Giovanni Paolo II e Roncalli Capovilla scrisse un lunghissimo editoriale per lo speciale del Messaggero nel quale svelò l’origine dell’appellativo «Papa buono». Era il 7 marzo 1963 e nella parrocchia romana di san Tarcisio, al Quarto Miglio, Papa Roncalli accompagnato dal segretario don Loris visitava la comunità cattolica in piena campagna elettorale. «Per l’occasione i segretari dei partiti in lizza, Dc e Pci in testa, decisero assieme di eliminare ogni manifesto e ogni striscione propagandistico, sostituendoli con tanti teli bianchi con su scritto: Evviva il Papa Buono». Quell’appellativo però a don Loris non piaceva tanto. Diceva che era riduttivo. «Roncalli è stato molto di più per la Chiesa e per il mondo, per la pace, per il dialogo con l’Est». Nell’ottobre scorso Capovilla ha festeggiato il traguardo dei cento anni. Li ha festeggiati assieme a parecchi migranti. Un gesto pubblico più eloquente di qualsiasi parola. È stato allegro e presente fino alla fine anche se aveva una salute traballante, a causa della quale, nel 2014, dovette rinunciare a viaggiare fino a Roma per ritirare la berretta rossa. Gli fu consegnata qualche mese dopo nel santuario a Sotto il Monte, il paese d’origine di Roncalli.
GIORNALISTA
Era nato in provincia di Padova, nel 1915, ed era stato ordinato sacerdote a 25 anni. Al fianco del futuro pontefice Capovilla aveva cominciato a lavorare nel 1953. Quando il patriarca di Venezia chiese notizie di quel giovane prete, magrissimo e sempre allegro per farne il suo segretario, gli venne detto che forse non era il caso. «È bravo, ma non gode però di buona salute e avrà vita breve». A questo Roncalli rispose: «Se non ha salute, verrà con me e morirà con me». Don Loris aveva la passione per la scrittura. Era iscritto all’albo dei giornalisti dal 1950. Era stato dal 1945 al 1953 redattore di Radio Venezia e dal 1949 direttore del settimanale diocesano «La voce del popolo» e redattore della pagina veneziana di «Avvenire d’Italia». Dopo la morte di Roncalli, Paolo VI lo tenne al suo fianco per un periodo, con l’incarico di prelato di anticamera. Poi arrivò la nomina ad arcivescovo di Chieti e in seguito divenne prelato della Basilica di Loreto, ruolo mantenuto fino al 1988. Parlando del futuro diceva: «Come posso essere pessimista io, dopo aver incontrato uomini come Papa Giovanni, Paolo VI, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti, Alcide De Gasperi, Aldo Moro. No, non siamo allo sbando. La nostra storia è storia di bellezza, di verità, di giustizia e di amore. Noi intendiamo ancora calcare queste orme. E andare ben oltre».

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Luigi Accattoli per il Corriere della Sera
Il cardinale Loris Francesco Capovilla è morto ieri a Bergamo all’età di cent’anni, sessantasei dei quali vissuti all’ombra e in memoria di Papa Giovanni XXIII, del quale fu segretario prima a Venezia e poi in Vaticano. Cardinale era stato fatto solo due anni addietro da Francesco e quella è stata la seconda luce papale che ha dato lustro alla sua lunga e combattuta vicenda ecclesiastica: custode della memoria di un Papa innovatore, onorato in extremis da un altro Papa innovatore.
Nel testamento di Capovilla, subito diffuso, c’è il segno dei combattimenti che ha condotto: «Vorrei andarmene in silenzio» scrive e chiede soltanto una messa con «gli amici più intimi e fedeli», alla «mattina presto» e la sepoltura «nella nuda terra» del cimitero di Fontanella «dove — annota — è sepolto David Maria Turoldo, uno dei gradi poeti che la Chiesa cattolica ha avuto». Anche Turoldo era — come lui — un combattente per la «Chiesa dei poveri».
Il 15 scorso Capovilla aveva ricevuto l’ultima telefonata di Papa Francesco. La prima l’aveva avuta nella primavera del 2013, nelle primissime settimane dopo l’elezione, in risposta a una sua lettera: «Preghi Papa Giovanni perché io diventi più buono» gli aveva detto Bergoglio, ringraziandolo delle parole con cui nella lettera gli aveva parlato del «suo» Papa: «Ogni parola che lei ha scritto è preziosa come un’omelia».
In questi anni Capovilla più volte ha dichiarato la sua ammirazione per il Papa argentino: «Come avveniva con Papa Giovanni, quando Francesco incontra le persone non dà l’impressione di chiedersi se siano cattoliche ma per prima cosa vede in loro delle creature di Dio che hanno diritto all’ascolto e al rispetto». Per segnalare la sua adesione ai gesti di Papa Bergoglio, basterà dire che l’ottobre scorso aveva festeggiato i cent’anni con un gruppo di migranti.
La fama di Capovilla è dovuta tutta alla collaborazione con Roncalli. Nativo di Pontelongo in provincia di Padova e prete veneziano dal 1940, conosce Roncalli al suo arrivo a Venezia come Patriarca nel 1953, ne viene scelto come segretario e gli resta a fianco per dieci anni, seguendolo a Roma dopo l’elezione a Papa. Dopo la morte di Giovanni XXIII, Paolo VI lo manda come arcivescovo prima a Chieti (1967) e poi a Loreto (1971). Nel 1988 si ritira a Sotto il Monte e si dedica alla memoria di Papa Giovanni. È stato un fattivo promotore della causa di canonizzazione del suo Papa, che è stato proclamato santo da Francesco il 27 aprile 2014.
Nelle disposizioni sul funerale e sulla tomba trapela la tempra di lottatore per il rinnovamento della Chiesa che ha sempre guidato Capovilla. «Conversazione con Capovilla sempre interessante, anche se qualche volta assume un’asprezza impetuosa» ha lasciato scritto per esempio, in un appunto diaristico, Vittorio Bachelet dopo un incontro che ebbe con lui da presidente dell’Azione Cattolica nel settembre del 1964, quando Capovilla aveva cinquant’anni: «Spera che l’Azione Cattolica non faccia neppure con Paolo VI parate oceaniche, inutili e dannose per le anime dei giovani. Papa Giovanni le aveva proibite».
Da cronista di fatti papali ricordo sue parole vibranti in dissenso con noi giornalisti in occasione della visita di Giovanni Paolo II a Loreto, nel settembre del 1979, quand’egli era vescovo in quel santuario: «Mi avete criticato per il fatto che in Basilica c’era solo il clero, come se io fossi un clericale. Altri mi criticano perché sono troppo innovatore. Ma io non sono né un progressista né un tradizionalista. Amo la tradizione e guardo avanti: le due cose insieme».

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Angelo Melloni per la Repubblica
Era il 1953, non aveva 40 anni. Faceva il prete-giornalista alla “La voce di san Marco”. Nell’Italia della ricostruzione — quella di don Mazzolari, di Gedda, di Moro — raccontava dalle sue colonne la vita di una diocesi piccola, ma con il blasone patriarcale. Quando gli arrivò, nel febbraio, la notizia che il nuovo patriarca era Angelo Giuseppe Roncalli, nunzio in Francia da qualche anno, lui partì per Parigi. Lui era Loris Francesco Capovilla, classe 1915.
Roncalli lo ricevette insieme alla delegazione cittadina e non badò molto a questo pretino di cui sbaglia il nome nelle sue sterminate Agende (Colavilla per Capovilla). Però decise di prenderselo come segretario. Ma in quell’incontro principia l’altra vita, anzi “la” vita di don Loris. Per 5 anni abbondanti accanto al cardinale candidato naturale per un papato “di transizione”. Per 5 scarsi anni accanto a papa Giovanni XXIII, quando effettivamente la “transizione” accade, ma è quella dalla chiesa delle condanne alla chiesa del Vaticano II.
Capovilla prende un posto delicatissimo, nell’appartamento cupo che sotto Pio XII era il regno d’una cupa suora tedesca. «Il cerchio degli avvoltoi si stringe attorno al carum caput», scrive pochi mesi dopo l’elezione di Roncalli, don Giuseppe de Luca. E con gli avvoltoi Capovilla si misura portando al suo Papa risultati notevoli.
Se le relazioni fra Israele e la chiesa sono cambiate lo si deve all’astuzia con cui riesce a far parlare, a dispetto di tutti i filtri Jules Isaac col Papa. È a lui che monsignor Pavan scrive una lettera, chiaramente imbeccata, da cui nascerà la “Pacem in terris”. È a lui che papa Giovanni detta quella frase — «non è il vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio» — in cui c’è tutta la subordinazione della dottrina alla pastorale, dopo nove secoli. È lui che accende la luce della stanza del Papa, la sera di pentecoste del 1963, quando per un istante tutto il mondo piange la stessa lacrima.
Cosa fare di questo segretario orfano di un Papa divenuto ingombrante? Paolo VI, per un po’ lo tiene a Palazzo; anche perché papa Giovanni ha fatto una scelta dirompente. Ha lasciato le sue carte, tutte le sue carte, a Capovilla. Migliaia di omelie, di lettere, di dispacci, di appunti, e soprattutto migliaia di pagine di diario, che affida al segretario e non segreto. A partire da un diario spirituale, “Il Giornale dell’anima”, che riportava il papato sullo scaffale della spiritualità per la prima volta dopo Gregorio Magno. Capovilla lo pubblica, con ritocchi minimissimi e innocui. Hanna Arendt rimane folgorata e scrive sul “New Yorker” un pezzo memorabile: «Un cristiano sul trono di Pietro». Ma molti pensano che nel resto dei diari ci sia chissà cosa: segreti, sconcezze, rivelazioni. Capovilla sa che non è vero non perché lo ha letto, ma perché conosce Roncalli. E custodisce un segreto con prudenza: quando Paolo VI gli chiede gli originali, lui ne tiene una fotocopia...
Nel1967 Paolo VI lo nomina arcivescovo di Chieti: sembra il segno di un episcopato nuovo e conciliare per l’Italia. Invece, come ha mostrato Enrico Galavotti, Capovilla va sbattere contro la Dc d’Abruzzo, quella le cui correnti e clientele si ramificano fino a Roma. Lo circondano, lo isolano, ottengono la sua cacciata: nel 1971 Paolo VI lo manda a Loreto.
Diventa un vescovo custode di un santuario e dell’archivio Roncalli da cui esce poco, ma un poco che tiene viva la memoria del Papa che il concilio non poté canonizzare per acclamazione. Capovilla lui diventa dal 1981 il riferimento di una covata di studiosi allievi di Pino Alberigo che in un rapporto sempre limpido e mai liscio lo convince ad alimentare i primi lavori storici su papa Giovanni.
Sicché quando nel 1992 Giovanni Paolo II vuol la ricognizione della carte necessaria alla beatificazione di Papa Giovanni l’archivio Capovilla, dopo un ultimo colloquio con Dossetti ed altri, si apre del tutto.
Escono i diari — diventeranno dieci volumi nella monumentale edizione nazionale — e mostrano che il linguaggio di Roncalli, è talmente semplice da risultare difficilissimo. Capovilla può così assistere alla beatificazione del settembre 2000 di papa Giovanni: convinto che a lui, maltrattato per la sua fedeltà intelligente alla chiesa e alla verità, dovesse bastare questo.
Invece gli toccherà altro: Francesco, la canonizzazione di papa Giovanni, e infine la porpora del 2014 che lo rende per un poco il prete e il cardinale più anziano della chiesa. Giunto dopo manovre e codardie quel cardinalato sembra più un risarcimento che un riconoscimento: ma in fondo, lui che da papa Giovanni aveva imparato a «mettere il proprio io sotto i piedi» non gli dava peso. Si è ripresentato ieri a papa Giovanni dopo molti decenni da quel loro primo incontro, ancora giovane e buono. Chissà se Roncalli lo chiamerà ancora Colavilla.