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 2016  maggio 27 Venerdì calendario

«Justice for Jules», la prima causa intentata contro la Formula 1. La famiglia del pilota che si è schiantato su una gru a bordo pista non ci sta: «L’incidente era evitabile»

«Justice for Jules»: si chiama così la prima causa intentata contro la Formula 1 dai parenti di un pilota morto in un incidente. Jules Bianchi se n’è andato il 17 luglio dello scorso anno dopo nove mesi di coma profondo. Aveva 25 anni, guidava la Marussia ed era nell’orbita della Ferrari fino al Gran premio del Giappone 2014, quando si schiantò contro un carro gru a bordo pista.
La F1 si è autoassolta. «Abbiamo seguito le giuste procedure, la colpa è del pilota che non ha rispettato l’ordine di rallentare», questa è stata in sintesi la conclusione dell’inchiesta: 318 pagine di analisi e spiegazioni che non hanno convinto i genitori. Anzi, li hanno feriti ancor di più. «Vogliamo ristabilire la verità – dice papà Philippe -. Quell’incidente sarebbe stato evitato se non fossero stati commessi così tanti errori».
Lo schianto in Giappone
Il 5 ottobre del 2014 a Suzuka si abbatte una tempesta di pioggia, l’asfalto in alcuni tratti è allagato e la visibilità insufficiente, come segnalato via radio da diversi piloti. Eppure si sta disputando il Gran premio del Giappone. A bordo pista un gruppo di steward manovra per rimuovere la monoposto di Adrian Sutil. Pochi istanti dopo anche Bianchi sbanda su un ruscello che si è formato in una curva, esce di pista e si va a schiantare contro un carro gru di sei tonnellate e mezzo. L’impatto è devastante, il pilota batte la testa e non riprenderà mai più conoscenza. Dall’ospedale giapponese sarà trasportato a quello di Nizza, la sua città, sempre assistito dai familiari. 
La tattica legale
Bianchi è la prima vittima della F1 dopo Ayrton Senna, scomparso il 1° maggio del 1994. E questa è la prima volta che i genitori non si rassegnano alla freddezza delle spiegazioni tecniche e cercano un responsabile e un risarcimento. Lo studio Stewarts Law di Londra, che si definisce «specializzato in dispute di elevato valore», chiama in causa la Federazione internazionale dell’Automobile, che è l’arbitro degli sport motoristici, il team Marussia e il detentore dei diritti commerciali della F1, ovvero Bernie Ecclestone. «La morte di Jules Bianchi era evitabile», scrive l’avvocato Julian Chamberlayne. Il rapporto della Commissione d’inchiesta nominata dalla Fia si conclude con una serie di raccomandazioni per migliorare la sicurezza, «ma si dimentica di individuare gli errori che hanno portato all’incidente fatale», osserva il legale. La corsa si è disputata in un orario che non garantiva luce naturale sufficiente e in una stagione di tifoni. La direzione di gara, inoltre, non ha mandato in pista la safety car malgrado ci fosse una monoposto incidentata nella via di fuga. La Fia ha infine sostenuto che Bianchi avrebbe dovuto rispettare la doppia bandiera gialla che veniva sventolata nella zona di pericolo, un segnale che significa «rallentare ed essere pronti a fermarsi». Ma quanti piloti hanno mai osservato scrupolosamente questo ordine? Quanti sono stati sanzionati in passato per non averlo fatto? È giusto mettere a repentaglio l’incolumità di un pilota in condizioni di guida proibitive (oltre che degli uomini del soccorso, che sono stati sfiorati dalla monoposto di Bianchi, uscita di pista a 214 chilometri l’ora)? Lo deciderà un giudice. E comunque si concluderà la vicenda, si creerà un precedente. «Vogliamo una risposta a tante domande», insistono papà Philippe e mamma Christine. Nel nome del figlio hanno creato una fondazione che contano di alimentare con i soldi del risarcimento. L’obiettivo: aiutare i giovani piloti a coronare il sogno di correre. Il sogno spezzato del loro Jules.