La Stampa, 27 maggio 2016
Il banco non perde mai e lo Stato incassa nove miliardi di euro (mentre un milione di persone è malato di gioco)
Il banco non può perdere e infatti non perde mai. Il banco è rappresentato dalle concessionarie dello Stato, dagli operatori del gioco, ma soprattutto dalle casse dell’erario, nelle quali dall’azzardo legale entrano ogni anno nove miliardi di euro. Fanno comodo, eccome. Anche per districare le situazioni più complesse. L’ultimo esempio dalla Sardegna. Si trascinava dal 2006 la diatriba tra il governo e la regione autonoma. Riconosceva all’isola maggiori entrate tributarie per un totale di 5,8 miliardi. In realtà non se n’era più fatto niente, finché nei giorni scorsi Palazzo Chigi ha annunciato di aver trovato l’uovo di Colombo. La Sardegna potrà trattenere sette decimi delle entrate erariali di tutti i tipi di gioco giocati sul suo territorio: dalle slot machine al lotto, dalle lotterie nazionali ai Gratta&Vinci. Tanto da incassare la sardonica reazione di Astro, l’Associazione gestori di apparecchi da intrattenimento: «Il gioco viene avversato su tutti i fronti, per poi tornare comodo quando deve essere utilizzato come bancomat per sanare arretrati».
Il problema gira intorno a quei nove miliardi garantiti alle casse pubbliche da macchinette e lotterie, oltre alla tutela di un comparto che ormai vale il 4 per cento del pil. Quanti sono gli italiani che giocano sistematicamente? Circa 8 milioni, 23 milioni lo hanno fatto almeno una volta nella vita. Di questi 790 mila sono «problematici», a rischio ludopatia.
Tutti i giochi sono compulsivi: lo dimostra un dato confermato da Sistema Gioco Italia, che in Confindustria rappresenta la filiera dei giochi. La spesa base degli italiani è di 17 miliardi l’anno. Come si arriva a 88 miliardi, il volume complessivo? Con le rigiocate: chiunque vinca qualcosa, quasi sempre lo spende subito per scommettere ancora. Siccome la percentuale che spetta alle vincite, il payout, è ancora generosa nonostante sia stata abbassata all’inizio dell’anno (al 70 per cento), il gioco continua pressoché senza limite se non l’esaurimento del «capitale» iniziale. In più, finiscono nella gettoniera anche i generosi jackpot (vincite supplementari) garantiti dalle videolettery, le slot di nuova generazione.
Quei nove miliardi per lo Stato vanno preservati. Anche se la situazione appare davvero scappata di mano. Non lo dicono solo le associazioni anti slot. Lo ripete da tre anni anche Confindustria Sistema Gioco, gli operatori del settore: «La presenza diffusa delle offerte sta impattando sul territorio in maniera troppo pesante».
Non si riesce però a trovare la quadra, anche legislativa. Il governo ha ottenuto la delega per un riordino nazionale di tutto il sistema dei giochi. Obiettivo: far chiarezza con alcune regole precise valide in tutta Italia. Le amministrazioni locali, Regioni e Comuni, da anni hanno spostato una linea di limitazioni, soprattutto con le ordinanze del «distanziometro»: distanza minima dei mini casinò di quartiere da scuole, luoghi di culto, ospedali. Da qui, una valanga di ricorsi al Tar dagli esiti spesso contraddittori.
Le nuove norme dovevano essere approvate alla fine del mese scorso. Invece è tutto in alto mare: la conferenza Stato-Regioni, lo scorso 5 maggio, non ha risolto nulla. Proprio ieri il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta ha convocato una riunione tecnica sull’argomento. Ancora si studia, quando le nuove norme dovevano essere già varate. È ferma al palo la proposta di legge con il divieto totale di pubblicità dei giochi presentata dal deputato Pd Lorenzo Basso il 15 luglio 2015. Sottoscritta da molti parlamentari, non è mai stata calendarizzata. Per non parlare della fine dell’inchiesta che, nel 2007, accese i riflettori sul mondo delle slot machine. La Corte dei conti di Roma contestò alle 10 concessionarie dei giochi in Italia una cifra monstre tra violazioni contrattuali ed evasione: 98 miliardi di euro, tre Finanziarie. La sanzione del processo fu assai minore: due miliardi e mezzo, una cifra comunque in grado di far tremare i polsi ai manager. Il governo Letta, per coprire il mancato gettito del taglio dell’Imu, varò una sanatoria: meglio pochi e maledetti, ma subito. Il conto finale si è fermato a 857 milioni.