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 2016  maggio 26 Giovedì calendario

Se un giornalista diffama un politico o un magistrato rischia 9 anni di carcere. L’ultima norma salva-casta. Polemiche

È un provvedimento approvato praticamente all’unanimità ed è stato definito salva-casta: prevede che un giornalista che diffami a mezzo stampa un politico o un magistrato rischi il carcere fino a 9 anni. La decisione ha fatto insorgere Fnsi e Ordine dei giornalisti e provocato tensioni tra le forze politiche.
L’inasprimento del trattamento nei confronti dei cronisti potrebbe derivare dal combinato disposto della legislazione vigente con una norma contenuta nel ddl già passato in commissione Giustizia del Senato il 3 maggio scorso, che l’Aula del Senato sta ora per esaminare. Si tratta dell’articolo 339 bis che verrebbe inserito nel Codice penale nel caso in cui venisse approvato il disegno di legge contro le intimidazioni agli amministratori locali. Prevede infatti che le pene stabilite per alcuni reati, tra cui la diffamazione a mezzo stampa (art.595 codice penale), siano «aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso ai danni di un componente di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario a causa dell’adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio». E siccome l’articolo 13 della legge n.47 del 1948 (diffamazione a mezzo stampa con l’attribuzione di un fatto determinato) impone il carcere da 1 a 6 anni, se entrasse in vigore il 339 bis, la pena massima aumenterebbe della metà: cioè 9 anni (6 più 3).
LA FIRMATARIA
Il provvedimento è ora al secondo punto dell’ordine del giorno dell’Aula, e – secondo quanto sostiene la prima firmataria Doris Lo Moro (Pd), già presidente della Commissione di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali – avrebbe come «unica» finalità «quella di difendere gli amministratori pubblici da minacce e violenze». «In realtà – spiega la parlamentare – il nostro intervento punta a essere molto chirurgico nel senso che, laddove si prevedeva che la minaccia o l’intimidazione per essere punita dovesse riguardare un Corpo politico amministrativo o giudiziario, nel senso di una categoria di persone, abbiamo introdotto anche la possibilità di colpire, nel caso in cui il minacciato sia il singolo componente, cioè il singolo individuo appartenente a quella categoria».
I tecnici giustizia della maggioranza sono contrari all’impostazione della norma, già ribattezzata «norma salva casta», e fanno osservare che così com’è stata scritta «rappresenta davvero un rischio per i cronisti», a meno che non entri in vigore un altro provvedimento (attualmente fermo proprio in commissione Giustizia al Senato): quello che porta la firma dell’attuale ministro Enrico Costa (Ncd) e che elimina il carcere per i giornalisti. L’articolo 3 del disegno di legge che difende gli amministratori pubblici – è la tesi di esponenti della maggioranza – non sarebbe stato scritto in modo che fosse chiaro il «dolo specifico», diventando un concreto «pericolo» per il giornalista che critichi il politico, il magistrato o il pubblico amministratore. Sicuramente, affermano anche deputati del Pd che si occupano di giustizia, «la norma andrà rivista. La finalità è giusta, ma va scritta meglio e soprattutto va armonizzata con il resto dei provvedimento all’esame del Parlamento. E se non lo cambiano al Senato, lo emenderemo noi».
LA REAZIONE «Non stupisce più di tanto che, nel tentativo di tutelare se stessa, la classe politica abbia espresso un voto che prevede, tra gli altri provvedimenti, un inasprimento delle pene a carico dei giornalisti – affermano il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti – Quel che stupisce è che si tenti di affermare l’esistenza di una categoria di cittadini più uguali degli altri, e ancora più grave è che il Parlamento lavori ad inasprire le sanzioni a carico dei giornalisti, mentre nessuna risposta è stata ancora data al problema delle cosiddette querele temerarie né alla richiesta di cancellare il carcere per i giornalisti, armi improprie utilizzate sempre più spesso contro chi fa il proprio lavoro tra minacce e intimidazioni».