L’Illustrazione Italiana, 23 gennaio 1916
La guerra d’Italia. Le operazioni dal 9 al 17 gennaio
(Leggi qui le operazioni dal 3 al 9 gennaio)
(Dai Bollettini Ufficiali) Dal Monte Ghello, a nord-est di Rovereto, il nemico lanciò, nella sera del 9, granate incendiarie contro le nostre posizioni. Durante la successiva notte i nostri avamposti segnalarono un grande incendio in Rovereto.
Nell’Alto e Medio Isonzo batterie nemiche tentarono di bersagliare le nostre linee col concorso di aereoplani. Furono efficacemente ribattute dalle nostre artiglierie di cui quelle contro-aeree obbligarono i velivoli nemici a tenersi a grandi altezze.
Nella pianura del Basso Isonzo l’artiglieria nemica, con cannoni a lunga portata, riprese il 10 il tiro contro gli abitati facendo qualche vittima nella popolazione. In Romans fu colpito un nostro ospedaletto da campo. Quattro militari ivi ricoverati furono uccisi, otto feriti.
Nell’alta Val Camonica il 10 le nostre artiglierie distrussero un ricovero e appostamenti nemici nella zona tra la punta di Ercavallo e il Tonale.
In Valle Logarina, la sera del giorno stesso, l’avversario, dopo preparazione di fuoco con le artiglierie. tentò l’attacco delle nostre posizioni di Castello Dante. Fu respinto con perdite.
Lungo il rimanente fronte fino al mare continuò il duello delle artiglierie.
Negli opposti campi grande attività degli aerei. Una nostra squadriglia, in condizioni atmosferiche avverse, per vento impetuoso, eseguì una incursione sul Gardolo a nord di Trento, bombardando quel campo nemico di aviazione e sulla via del ritorno lasciò cadere qualche bomba sulle stazioni di Trento e di Rovereto e su baraccamenti presso Volano, ritornando poi incolume nelle nostre linee.
Velivoli nemici lanciarono bombe su talune località della pianura dell’Isonzo. Nessun danno.
Batterie nemiche lanciarono l’11 proiettili, specialmente incendiari, sulle nostre posizioni dell’Altissimo (tra Garda e Adige), di Valle Terragnolo (Adige) e su Borgo (Val Sugana): nessun danno.
Le nostre artiglierie distrussero ricoveri nemici ad est del passo Oregone (torrente Cordevole di Visdende-Piave) e bersagliarono colonne di truppe e di salmerie in marcia in Valle Köder (Gail) e Seebach (Gailitz) disperdendole.
Nel settore del’Javorceck Conca di Plezzo e di San Martino del Carso respingemmo piccoli attacchi dell’avversario.
Sul Basso Isonzo le artiglierie nemiche tirarono su Gradisca, Sagrado e Monfalcone. Di rimando le nostre bombardarono Devetaki e Oppachiasella.
Nella giornata dell’11 un nostro velivolo lanciò bombe su baraccamenti nemici tra Tione e Breguzzo, in Giudicaria, ritornando incolume nelle linee.
Nella zona tra Sarca e Adige, a protezione di Loppio, vennero occupate il 12 le posizioni allo sbocco di Valle Cresta, rafforzandole.
In Valle Terragnolo l’artiglieria nemica continuò il giorno 12 il lancio di bombe incendiarie senza nostro danno.
Nella zona montuosa a nord di Valsugana, l’attività di nostri drappelli condusse a qualche scontro a noi favorevole con nuclei nemici.
Nell’Alto Cordevole, accertata la presenza dell’avversario in Zorz, la nostra artiglieria bombardò il villaggio incendiandolo e ponendo in fuga le truppe che l’occupavano. Con eguale buon risultato furono battuti i fabbricati militari al passo del Predil.
Sul Carso l’artiglieria nemica, sistematicamente controbattuta dalla nostra, si dimostrò il l3 meno attiva. Continuano i lavori di afforzamento.
L’attività delle artiglierie nella giornata del 14 fu scarsa lungo la frontiera del Trentino ed in Carnia, assai viva sull’Isonzo ed assunse carattere di particolare violenza sulle alture a nord-ovest di Gorizia. Ivi il fuoco delle batterie nemiche, efficacemente controbattuto dalle nostre, si prolungò fino a tarda sera, specialmente contro le posizioni di Oslavia.
Sul Carso le nostre artiglierie aggiustarono il tiro su trinceramenti nemici nella zona del Monte San Michele distruggendoli per un tratto di circa 400 metri.
Una nostra squadriglia aerea eseguì una larga incursione nella regione ad est dell’Isonzo, bombardò il campo nemico di aviazione di Aisovizza, baraccamenti di truppe in Chiapovano e Dornberg e le stazioni ferroviarie di Longatico, Prebacina e Lubiana. Fatta segno a violento fuoco di numerose batterie contro-aerei, la squadriglia ritornò incolume.
Nella zona tra Sarca ed Adige il giorno 14, dopo vivace azione delle artiglierie, un nucleo nemico tentò di avvicinarsi alle nostre posizioni allo sbocco di Valle Cresta, ma fu subito respinto. Un nostro riparto occupò l’isolotto di Lago di Loppio.
Tiri aggiustati delle nostre artiglierie provocarono nello stesso giorno lo scoppio di un deposito di munizioni dell’avversario nella zona di Ombretta (Alto Avisio) e dispersero una colonna nemica che risaliva la strada del Raibl (a valle di Seebach).
Sulle alture a nord-ovest di Gorizia, all’intenso cannoneggiamento della giornata del 14 seguì nella notte un attacco nemico con forze ingenti contro le nostre posizioni nel settore fra il torrente Peumica ed Oslavia. Respinto una prima volta, l’avversario rinnovò con maggiori forze l’attacco riuscendo a penetrare in alcune nostre trincee nel tratto fra la quota 188 ed Oslavia. Nella mattinata però le nostre truppe con un violento contrattacco ricacciarono il nemico oltre Oslavia e rioccuparono saldamente le trincee ad est del villaggio. Furono prese all’avversario armi e munizioni e fatti alcuni prigionieri.
Velivoli nemici lanciarono bombe su Feltre e Cervignano. Nessuna vittima e lievi danni.
Lungo la frontiera trentina il 16 azione meno intensa delle artiglierie. Nostri tiri aggiustati contro il forte Raibl (Valle Seebach) determinarono la rovina di parte del fronte di Gola e la fuga di drappelli nemici.
Sulle alture attorno a Oslavia continuò con successo la vigorosa nostra controffensiva diretta a riconquistare gli ultimi piccoli tratti di trincee, a nord del villaggio, tuttora tenuti dall’avversario. I prigionieri da noi fatti confermano le ingenti forze impegnate dal nemico nell’azione e le gravi perdite da esso subite.
Sul Carso situazione immutata.
Velivoli nemici lanciarono il 16 bombe su qualche abitato nella pianura del Basso Isonzo. Lievi danni.
Aereoplani austriaci su Rimini
Nel pomeriggio del l3 quattro aereoplani austriaci hanno volato su Rimini, lanciando bombe. Nessuna vittima, e lievi danni materiali. Uno degli aereoplani è stato abbattuto dalle artiglierie antiaeree della marina ed è caduto in mare.
Alle ore 13 del 17 cinque aereoplani nemici sono apparsi sulla città di Ancona ed hanno gettato bombe. Si hanno a deplorare una vittima e lievi danni materiali.
Un esploratore austriaco affondato
Il giorno 13 il sommergibile francese Foucault, aggregato alle forze navali italiane, ha silurato e colato a picco nel basso Adriatico un esploratore austriaco tipo Novara.
Da più particolareggiate notizie sul combattimento del 29 dicembre nelle acque di Durazzo, risulta che le navi nemiche furono ripetutamente colpite e danneggiate dal nostro fuoco. Inoltre il rinvenimento, in prossimità della costa a nord di Durazzo, di numerosi cadaveri galleggianti di marinai austriaci non appartenenti agli equipaggi dei cacciatorpediniere affondati Lika e Triglav confermerebbe la perdita, già asserita da varie fonti, di un’altra unità nemica in quella occasione.
Due piroscafi italiani affondati da mine
Il giorno 6 corrente il piroscafo requisito Brindisi, di 541 tonnellate nette, e il giorno 8 il piroscafo armato Città di Palermo di 1052 tonnellate nette, sono affondati nel basso Adriatico per urti contro mine. In entrambi i disgraziati accidenti i solleciti e bene organizzati soccorsi valsero a salvare, del Città di Palermo quasi la totalità dell’equipaggio e delle persone che si trovavano a bordo, e del Brindisi tutto l’equipaggio e più della metà delle persone straniere imbarcate.
Il governo serbo a Brindisi
Un telegramma ufficiale del 16 ha annunziato che il governo serbo, in numero di circa 40 persone, ed i rappresentanti diplomatici delle Potenze alleate accreditate presso Re Pietro sono giunti a Brindisi.
Il castello Castelbarco a Loppio devastato dagli austriaci
L’abbandono – segnalato da un bollettino del generale Cadorna – delle posizioni intorno a Loppio, sulla strada Mori-Riva, da parte degli austriaci, davanti all’incalzante avanzata italiana, ha segnato la fine dello storico castello dei conti Castelbarco di Milano. La villa che qui illustriamo, fu completamente devastata dalla barbarie nemica. Vi fu prima di tutto appiccato il fuoco con covoni di granoturco imbevuti di liquido infiammabile. L’incendio fu completo e si estese agli altri caseggiati annessi alla villa nonché alle abitazioni dei coloni all’intorno; complessivamente undici dei quindici caseggiati compresi nella signoria di Loppio furono ridotti un cumulo di macerie!
La chiesa non fu distrutta, ma nemmeno fu risparmiata: vennero asportate le cinque campane del campanile, e arredi preziosi scomparvero.
La villa Castelbarco, costruita nel 1730, aveva un salone in stile barocco Luigi XIV con soffitto a vôlta letteralmente coperto di decorazioni a stucco e oro, opera di artisti veneziani: in una sala a fianco dell’atrio ergevansi due sarcofaghi monumentali con sculture del 1200 e 1300 rappresentanti Antonio e Azzone Castelbarco, signori di Valle Lagarina. Dappertutto mobili scolpiti provenienti dagli antichi castelli di Gresta, Brentonico, Avio, Barco: marmi, quadri, incisioni, specchi, candelabri, cristalli. Nella villa era conservato poi un voluminoso archivio di famiglia, con pergamene e documenti rari interessanti la storia della regione.
Tutto ciò è andato perduto; quello che l’incendio risparmiò, venne fracassato e frantumato. Soltanto poca roba si salvò perché nascosta in un profondo sotterraneo cui non giunse il vandalismo austriaco: ma un altro sotterraneo che era stato chiuso con un muro, venne scoperto; il muro fu sfondato, e la roba ivi nascosta vi fu distrutta con rabbia feroce.
FUORI D’ITALIA
Il Montenegro ha chiesta la pace
Il 17, Tisza ha annunciato l’avvenimento alla Camera ungherese. Alle 12.30, mentre si stava discutendo la questione dell’istituto centrale finanziario, il presidente del Consiglio si levò a fare questa dichiarazione: «Prego di permettermi di interrompere un istante la discussione per dare una notizia. Il Re e il governo del Montenegro si rivolsero al vincitore per iniziare trattative di pace. La Monarchia pose la condizione dell’assoluta capitolazione. In questo momento ricevetti notizia che il Re e il governo del Montenegro accettarono la condizione. Compiuta la capitolazione, potremo iniziare le trattative di pace».
«Onorevoli deputati! Senza volere esagerare la portata del fatto, esso è tuttavia importante come il primo frutto della costanza della Monarchia».
Non è qui il caso di commentare l’avvenimento, che le persone di serena visione prevedevano. Gli austriaci dopo avere preso il Lovcen, occupata Cettigne e Spitza, sull’Adriatico, si erano avanzati fino a Soutorman, minacciando il porto di Antivari e la sola ferrovia montenegrina Antivari-Vir-Bazar, minacciando di tagliare le comunicazioni del Montenegro coll’Italia.
Domenica 9 gennaio è stato varato, per conto della Navigazione Generale Italiana, il transatlantico «Duilio» per la linea celerissima di gran lusso: Genova-Barcellona-Sud America.
La costruzione di una grande nave come il Duilio è un lavoro ciclopico, al paragone del quale le creazioni più imponenti e più ricche dell’arte edilizia, gli edifizi più sontuosi delle grandi città, appaiono come modeste opere dell’ingegno umano.
Un grande palazzo moderno sorpassa raramente i 25 metri d’altezza, tutt’al più, se ha delle cupole, raggiunge 3o metri al sommo delle cuspidi. Se ha una facciata lunga 100 metri assume l’imponenza di un colosso. Gli alberghi più noti in Europa, per la loro grandiosità, non possono ospitare più di mille persone, suppergiù, e se nella loro costruzione e nel loro arredamento la quasi totalità delle industrie e delle arti è rappresentata, l’ingegneria e la meccanica, questi due rami dell’attività umana che caratterizzano il progresso moderno, non sfoggiano tutte le loro meraviglie.
Una nave come il Duilio è una costruzione della lunghezza di quasi 200 metri, ha delle murate (fianchi della nave) che dalla base della chiglia al livello del ponte di comando misurano 30 metri di altezza, per arrivare a 46 al sommo delle ciminiere ed a 60 metri alla cima degli alberi. Può alloggiare circa 3500 persone, una parte delle quali con un lusso quasi sconosciuto nei grandi alberghi. Possiede parecchi grandi e sfarzosi saloni, verande, passeggiate, giardini d’inverno ed appartamenti di un lusso principesco; ha negozi di modista, di sarta, di parrucchiere, di fioraia; un ufficio radiotelegrafico che ha comunicazioni dirette con la terra, come se disponesse di altrettante linee speciali quante sono le stazioni riceventi. Ma più ancora il Duilio è un palazzo che si muove, e che può correre con la velocità di 20 nodi all’ora (37 chilometri).
Ha nel suo ventre degli organi motori grandi come una casa e che sviluppano una forza di 23 000 cavalli, equivalente a quella di circa 23 macchine per treni direttissimi messe insieme. Insomma, tutto il patrimonio della scienza, dell’industria e dell’arte, vi è rappresentato in quanto ha di migliore, di perfetto e di moderno. Un’opera simile è lo sforzo massimo dei muscoli e del cervello dell’uomo del XX secolo, è 1’esponente della sua lotta secolare e titanica contro la natura. Se una divinità dovesse muovere all’uomo questa domanda: «Mostrami che cosa hai imparato sulla terra dopo tutto il tempo che ci vivi» l’uomo dovrebbe additare una nave come il Duilio e rispondere: «Vedi, qui dentro c’è tutto il mio sapere, mentre con il semplice sforzo muscolare del mio braccio, con un giro di leva, io riesco a muovere ed a mettere in funzione questo mio mondo».
Il Duilio costa poco più di 20 milioni di lire.
Esaminiamo ora, a colpo d’occhio, nelle sue diverse fasi evolutive, la creazione di una simile opera.
Al nostro grande Cantiere Gio. Ansaldo & C. di Sestri Ponente, è toccato l’onore di costruirla, ma poiché era la prima volta che una nave di questa mole s’impostava, il Cantiere dovette allungare il piano di scorrimento (dove posa la chiglia), tanto da dover costruire un ponte, a cavallo della linea ferroviaria Genova-Ventimiglia che ne ostacolava lo sviluppo.
L’impostamento della chiglia, ossia la posa della prima piastra metallica, ebbe luogo il 30 maggio 1914. (Vedi fig. 1).
Cinque mesi dopo la struttura ossea del Duilio profilava le sue immense vertebre nel cielo, rassomigliando stranamente allo scheletro supino di un gigantesco mammouth preistorico. (Vedi fig. 2 e 3).
Sono queste vertebre, rivestite del loro fasciame esterno, i muri maestri dell’albergo galleggiante, il quale dall’aprile all’agosto ed all’ottobre del 1915 incominciava ad assumere la rozza forma di una nave. (Vedi fig. 4, 5, 6 e 7).
La figura 8 ci mostra il Duilio pronto al varo. È una montagna di metallo; non c’è che ferro ed acciaio. Il prezioso elemento è qui accumulato come in nessuna altra costruzione, a migliaia e migliaia di tonnellate, ed all’osservatore torna involontariamente alla mente il motto di uno scrittore francese: «Chi ha del ferro ha del pane».
La nave vista sul ponte C (sul tetto, fig. 7) da una estremità all’altra, dà all’osservatore la sensazione di trovarsi in una piazza d’armi sospesa in aria. All’orizzonte di prua si profila l’anfiteatro delle colline di Sestri: giù nel piano molto in basso, si scorge il dedalo di tetti delle alte case della industre cittadina ligure: all’orizzonte di poppa si stende un vero abisso che ha per sfondo un immenso mare, le cui piccole onde si frangono ai piedi del colosso.
La superba mole, così pronta ad essere abbandonata al suo elemento ed a ricevere le sue superstrutture, le ciminiere, gli alberi, le macchine, le eliche, tutti i suoi meravigliosi congegni di forza e di precisione, il fasto dei suoi saloni, il comfort raffinato e le superfluità preziose del lusso moderno, non è la parte meno importante della costruzione se si tien conto che per eseguirla occorsero degli ordigni meccanici di dimensioni iperboliche e l’ausilio dei più potenti sforzi dell’arte navale.
Il Duilio, infatti, è una nave che possiede una supremazia incontestata su tutte le altre costruite tanto in Italia quanto all’estero, per essere dotata della compartimentazione stagna più numerosa in cui sia mai stata divisa una nave fino ai nostri giorni.
Con ciò il Duilio garantisce in qualsiasi caso di avaria, una riserva di galleggiabilità che supera le stesse prescrizioni della conferenza di Londra sulla salvaguardia della vita umana in mare, prescrizioni posteriori alla ideazione ed al progetto di detta nave.
Ma quello che sopratutto fa onore al nostro Paese, in questa sua prova di capacità industriale, è che questo vapore, il più grande della marina mercantile italiana, è stato costruito durante la nostra più grande guerra, durante un’epoca in cui la forza delle braccia, del capitale e la potenza dei mezzi costruttivi assursero ad un grado di valore non mai conosciuto prima.
Il varo deh Duilio (fig. 9) si effettuò con una precisione impressionante. Mai nave obbedì con maggiore esattezza alle leggi del calcolo. Quasi immediatamente dopo l’esecuzione del comando: «Taglia le rizze» (ultimi legami della nave), la montagna di metallo mandò come un sordo e breve scricchiolìo, ebbe un attimo d’immobilità, poi, con una lentezza dapprima impercettibile, staccò il suo sperone dalla sua base di prua, e dopo qualche secondo scivolò in mare con una maestà ed una precisione di mossa commoventi.
p.c.
Dopo il varo, il Duilio è stato rimorchiato in porto e ormeggiato alle vicine officine allestimento navi, ove sarà ultimato. Madrina della nave è stata la contessa di San Martino, consorte del senatore, il quale è vice-presidente del Consiglio d’amministrazione della Navigazione Generale Italiana. I lavori del varo sono stati diretti dall’ing. Soliani, direttore generale dei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente.
(Dai Bollettini Ufficiali) Dal Monte Ghello, a nord-est di Rovereto, il nemico lanciò, nella sera del 9, granate incendiarie contro le nostre posizioni. Durante la successiva notte i nostri avamposti segnalarono un grande incendio in Rovereto.
Nell’Alto e Medio Isonzo batterie nemiche tentarono di bersagliare le nostre linee col concorso di aereoplani. Furono efficacemente ribattute dalle nostre artiglierie di cui quelle contro-aeree obbligarono i velivoli nemici a tenersi a grandi altezze.
Nella pianura del Basso Isonzo l’artiglieria nemica, con cannoni a lunga portata, riprese il 10 il tiro contro gli abitati facendo qualche vittima nella popolazione. In Romans fu colpito un nostro ospedaletto da campo. Quattro militari ivi ricoverati furono uccisi, otto feriti.
Nell’alta Val Camonica il 10 le nostre artiglierie distrussero un ricovero e appostamenti nemici nella zona tra la punta di Ercavallo e il Tonale.
In Valle Logarina, la sera del giorno stesso, l’avversario, dopo preparazione di fuoco con le artiglierie. tentò l’attacco delle nostre posizioni di Castello Dante. Fu respinto con perdite.
Lungo il rimanente fronte fino al mare continuò il duello delle artiglierie.
Negli opposti campi grande attività degli aerei. Una nostra squadriglia, in condizioni atmosferiche avverse, per vento impetuoso, eseguì una incursione sul Gardolo a nord di Trento, bombardando quel campo nemico di aviazione e sulla via del ritorno lasciò cadere qualche bomba sulle stazioni di Trento e di Rovereto e su baraccamenti presso Volano, ritornando poi incolume nelle nostre linee.
Velivoli nemici lanciarono bombe su talune località della pianura dell’Isonzo. Nessun danno.
Batterie nemiche lanciarono l’11 proiettili, specialmente incendiari, sulle nostre posizioni dell’Altissimo (tra Garda e Adige), di Valle Terragnolo (Adige) e su Borgo (Val Sugana): nessun danno.
Le nostre artiglierie distrussero ricoveri nemici ad est del passo Oregone (torrente Cordevole di Visdende-Piave) e bersagliarono colonne di truppe e di salmerie in marcia in Valle Köder (Gail) e Seebach (Gailitz) disperdendole.
Nel settore del’Javorceck Conca di Plezzo e di San Martino del Carso respingemmo piccoli attacchi dell’avversario.
Sul Basso Isonzo le artiglierie nemiche tirarono su Gradisca, Sagrado e Monfalcone. Di rimando le nostre bombardarono Devetaki e Oppachiasella.
Nella giornata dell’11 un nostro velivolo lanciò bombe su baraccamenti nemici tra Tione e Breguzzo, in Giudicaria, ritornando incolume nelle linee.
Nella zona tra Sarca e Adige, a protezione di Loppio, vennero occupate il 12 le posizioni allo sbocco di Valle Cresta, rafforzandole.
In Valle Terragnolo l’artiglieria nemica continuò il giorno 12 il lancio di bombe incendiarie senza nostro danno.
Nella zona montuosa a nord di Valsugana, l’attività di nostri drappelli condusse a qualche scontro a noi favorevole con nuclei nemici.
Nell’Alto Cordevole, accertata la presenza dell’avversario in Zorz, la nostra artiglieria bombardò il villaggio incendiandolo e ponendo in fuga le truppe che l’occupavano. Con eguale buon risultato furono battuti i fabbricati militari al passo del Predil.
Sul Carso l’artiglieria nemica, sistematicamente controbattuta dalla nostra, si dimostrò il l3 meno attiva. Continuano i lavori di afforzamento.
L’attività delle artiglierie nella giornata del 14 fu scarsa lungo la frontiera del Trentino ed in Carnia, assai viva sull’Isonzo ed assunse carattere di particolare violenza sulle alture a nord-ovest di Gorizia. Ivi il fuoco delle batterie nemiche, efficacemente controbattuto dalle nostre, si prolungò fino a tarda sera, specialmente contro le posizioni di Oslavia.
Sul Carso le nostre artiglierie aggiustarono il tiro su trinceramenti nemici nella zona del Monte San Michele distruggendoli per un tratto di circa 400 metri.
Una nostra squadriglia aerea eseguì una larga incursione nella regione ad est dell’Isonzo, bombardò il campo nemico di aviazione di Aisovizza, baraccamenti di truppe in Chiapovano e Dornberg e le stazioni ferroviarie di Longatico, Prebacina e Lubiana. Fatta segno a violento fuoco di numerose batterie contro-aerei, la squadriglia ritornò incolume.
Nella zona tra Sarca ed Adige il giorno 14, dopo vivace azione delle artiglierie, un nucleo nemico tentò di avvicinarsi alle nostre posizioni allo sbocco di Valle Cresta, ma fu subito respinto. Un nostro riparto occupò l’isolotto di Lago di Loppio.
Tiri aggiustati delle nostre artiglierie provocarono nello stesso giorno lo scoppio di un deposito di munizioni dell’avversario nella zona di Ombretta (Alto Avisio) e dispersero una colonna nemica che risaliva la strada del Raibl (a valle di Seebach).
Sulle alture a nord-ovest di Gorizia, all’intenso cannoneggiamento della giornata del 14 seguì nella notte un attacco nemico con forze ingenti contro le nostre posizioni nel settore fra il torrente Peumica ed Oslavia. Respinto una prima volta, l’avversario rinnovò con maggiori forze l’attacco riuscendo a penetrare in alcune nostre trincee nel tratto fra la quota 188 ed Oslavia. Nella mattinata però le nostre truppe con un violento contrattacco ricacciarono il nemico oltre Oslavia e rioccuparono saldamente le trincee ad est del villaggio. Furono prese all’avversario armi e munizioni e fatti alcuni prigionieri.
Velivoli nemici lanciarono bombe su Feltre e Cervignano. Nessuna vittima e lievi danni.
Lungo la frontiera trentina il 16 azione meno intensa delle artiglierie. Nostri tiri aggiustati contro il forte Raibl (Valle Seebach) determinarono la rovina di parte del fronte di Gola e la fuga di drappelli nemici.
Sulle alture attorno a Oslavia continuò con successo la vigorosa nostra controffensiva diretta a riconquistare gli ultimi piccoli tratti di trincee, a nord del villaggio, tuttora tenuti dall’avversario. I prigionieri da noi fatti confermano le ingenti forze impegnate dal nemico nell’azione e le gravi perdite da esso subite.
Sul Carso situazione immutata.
Velivoli nemici lanciarono il 16 bombe su qualche abitato nella pianura del Basso Isonzo. Lievi danni.
Aereoplani austriaci su Rimini
Nel pomeriggio del l3 quattro aereoplani austriaci hanno volato su Rimini, lanciando bombe. Nessuna vittima, e lievi danni materiali. Uno degli aereoplani è stato abbattuto dalle artiglierie antiaeree della marina ed è caduto in mare.
Alle ore 13 del 17 cinque aereoplani nemici sono apparsi sulla città di Ancona ed hanno gettato bombe. Si hanno a deplorare una vittima e lievi danni materiali.
Un esploratore austriaco affondato
Il giorno 13 il sommergibile francese Foucault, aggregato alle forze navali italiane, ha silurato e colato a picco nel basso Adriatico un esploratore austriaco tipo Novara.
Da più particolareggiate notizie sul combattimento del 29 dicembre nelle acque di Durazzo, risulta che le navi nemiche furono ripetutamente colpite e danneggiate dal nostro fuoco. Inoltre il rinvenimento, in prossimità della costa a nord di Durazzo, di numerosi cadaveri galleggianti di marinai austriaci non appartenenti agli equipaggi dei cacciatorpediniere affondati Lika e Triglav confermerebbe la perdita, già asserita da varie fonti, di un’altra unità nemica in quella occasione.
Due piroscafi italiani affondati da mine
Il giorno 6 corrente il piroscafo requisito Brindisi, di 541 tonnellate nette, e il giorno 8 il piroscafo armato Città di Palermo di 1052 tonnellate nette, sono affondati nel basso Adriatico per urti contro mine. In entrambi i disgraziati accidenti i solleciti e bene organizzati soccorsi valsero a salvare, del Città di Palermo quasi la totalità dell’equipaggio e delle persone che si trovavano a bordo, e del Brindisi tutto l’equipaggio e più della metà delle persone straniere imbarcate.
Il governo serbo a Brindisi
Un telegramma ufficiale del 16 ha annunziato che il governo serbo, in numero di circa 40 persone, ed i rappresentanti diplomatici delle Potenze alleate accreditate presso Re Pietro sono giunti a Brindisi.
Il castello Castelbarco a Loppio devastato dagli austriaci
L’abbandono – segnalato da un bollettino del generale Cadorna – delle posizioni intorno a Loppio, sulla strada Mori-Riva, da parte degli austriaci, davanti all’incalzante avanzata italiana, ha segnato la fine dello storico castello dei conti Castelbarco di Milano. La villa che qui illustriamo, fu completamente devastata dalla barbarie nemica. Vi fu prima di tutto appiccato il fuoco con covoni di granoturco imbevuti di liquido infiammabile. L’incendio fu completo e si estese agli altri caseggiati annessi alla villa nonché alle abitazioni dei coloni all’intorno; complessivamente undici dei quindici caseggiati compresi nella signoria di Loppio furono ridotti un cumulo di macerie!
La chiesa non fu distrutta, ma nemmeno fu risparmiata: vennero asportate le cinque campane del campanile, e arredi preziosi scomparvero.
La villa Castelbarco, costruita nel 1730, aveva un salone in stile barocco Luigi XIV con soffitto a vôlta letteralmente coperto di decorazioni a stucco e oro, opera di artisti veneziani: in una sala a fianco dell’atrio ergevansi due sarcofaghi monumentali con sculture del 1200 e 1300 rappresentanti Antonio e Azzone Castelbarco, signori di Valle Lagarina. Dappertutto mobili scolpiti provenienti dagli antichi castelli di Gresta, Brentonico, Avio, Barco: marmi, quadri, incisioni, specchi, candelabri, cristalli. Nella villa era conservato poi un voluminoso archivio di famiglia, con pergamene e documenti rari interessanti la storia della regione.
Tutto ciò è andato perduto; quello che l’incendio risparmiò, venne fracassato e frantumato. Soltanto poca roba si salvò perché nascosta in un profondo sotterraneo cui non giunse il vandalismo austriaco: ma un altro sotterraneo che era stato chiuso con un muro, venne scoperto; il muro fu sfondato, e la roba ivi nascosta vi fu distrutta con rabbia feroce.
FUORI D’ITALIA
Il Montenegro ha chiesta la pace
Il 17, Tisza ha annunciato l’avvenimento alla Camera ungherese. Alle 12.30, mentre si stava discutendo la questione dell’istituto centrale finanziario, il presidente del Consiglio si levò a fare questa dichiarazione: «Prego di permettermi di interrompere un istante la discussione per dare una notizia. Il Re e il governo del Montenegro si rivolsero al vincitore per iniziare trattative di pace. La Monarchia pose la condizione dell’assoluta capitolazione. In questo momento ricevetti notizia che il Re e il governo del Montenegro accettarono la condizione. Compiuta la capitolazione, potremo iniziare le trattative di pace».
«Onorevoli deputati! Senza volere esagerare la portata del fatto, esso è tuttavia importante come il primo frutto della costanza della Monarchia».
Non è qui il caso di commentare l’avvenimento, che le persone di serena visione prevedevano. Gli austriaci dopo avere preso il Lovcen, occupata Cettigne e Spitza, sull’Adriatico, si erano avanzati fino a Soutorman, minacciando il porto di Antivari e la sola ferrovia montenegrina Antivari-Vir-Bazar, minacciando di tagliare le comunicazioni del Montenegro coll’Italia.
Domenica 9 gennaio è stato varato, per conto della Navigazione Generale Italiana, il transatlantico «Duilio» per la linea celerissima di gran lusso: Genova-Barcellona-Sud America.
La costruzione di una grande nave come il Duilio è un lavoro ciclopico, al paragone del quale le creazioni più imponenti e più ricche dell’arte edilizia, gli edifizi più sontuosi delle grandi città, appaiono come modeste opere dell’ingegno umano.
Un grande palazzo moderno sorpassa raramente i 25 metri d’altezza, tutt’al più, se ha delle cupole, raggiunge 3o metri al sommo delle cuspidi. Se ha una facciata lunga 100 metri assume l’imponenza di un colosso. Gli alberghi più noti in Europa, per la loro grandiosità, non possono ospitare più di mille persone, suppergiù, e se nella loro costruzione e nel loro arredamento la quasi totalità delle industrie e delle arti è rappresentata, l’ingegneria e la meccanica, questi due rami dell’attività umana che caratterizzano il progresso moderno, non sfoggiano tutte le loro meraviglie.
Una nave come il Duilio è una costruzione della lunghezza di quasi 200 metri, ha delle murate (fianchi della nave) che dalla base della chiglia al livello del ponte di comando misurano 30 metri di altezza, per arrivare a 46 al sommo delle ciminiere ed a 60 metri alla cima degli alberi. Può alloggiare circa 3500 persone, una parte delle quali con un lusso quasi sconosciuto nei grandi alberghi. Possiede parecchi grandi e sfarzosi saloni, verande, passeggiate, giardini d’inverno ed appartamenti di un lusso principesco; ha negozi di modista, di sarta, di parrucchiere, di fioraia; un ufficio radiotelegrafico che ha comunicazioni dirette con la terra, come se disponesse di altrettante linee speciali quante sono le stazioni riceventi. Ma più ancora il Duilio è un palazzo che si muove, e che può correre con la velocità di 20 nodi all’ora (37 chilometri).
Ha nel suo ventre degli organi motori grandi come una casa e che sviluppano una forza di 23 000 cavalli, equivalente a quella di circa 23 macchine per treni direttissimi messe insieme. Insomma, tutto il patrimonio della scienza, dell’industria e dell’arte, vi è rappresentato in quanto ha di migliore, di perfetto e di moderno. Un’opera simile è lo sforzo massimo dei muscoli e del cervello dell’uomo del XX secolo, è 1’esponente della sua lotta secolare e titanica contro la natura. Se una divinità dovesse muovere all’uomo questa domanda: «Mostrami che cosa hai imparato sulla terra dopo tutto il tempo che ci vivi» l’uomo dovrebbe additare una nave come il Duilio e rispondere: «Vedi, qui dentro c’è tutto il mio sapere, mentre con il semplice sforzo muscolare del mio braccio, con un giro di leva, io riesco a muovere ed a mettere in funzione questo mio mondo».
Il Duilio costa poco più di 20 milioni di lire.
Esaminiamo ora, a colpo d’occhio, nelle sue diverse fasi evolutive, la creazione di una simile opera.
Al nostro grande Cantiere Gio. Ansaldo & C. di Sestri Ponente, è toccato l’onore di costruirla, ma poiché era la prima volta che una nave di questa mole s’impostava, il Cantiere dovette allungare il piano di scorrimento (dove posa la chiglia), tanto da dover costruire un ponte, a cavallo della linea ferroviaria Genova-Ventimiglia che ne ostacolava lo sviluppo.
L’impostamento della chiglia, ossia la posa della prima piastra metallica, ebbe luogo il 30 maggio 1914. (Vedi fig. 1).
Cinque mesi dopo la struttura ossea del Duilio profilava le sue immense vertebre nel cielo, rassomigliando stranamente allo scheletro supino di un gigantesco mammouth preistorico. (Vedi fig. 2 e 3).
Sono queste vertebre, rivestite del loro fasciame esterno, i muri maestri dell’albergo galleggiante, il quale dall’aprile all’agosto ed all’ottobre del 1915 incominciava ad assumere la rozza forma di una nave. (Vedi fig. 4, 5, 6 e 7).
La figura 8 ci mostra il Duilio pronto al varo. È una montagna di metallo; non c’è che ferro ed acciaio. Il prezioso elemento è qui accumulato come in nessuna altra costruzione, a migliaia e migliaia di tonnellate, ed all’osservatore torna involontariamente alla mente il motto di uno scrittore francese: «Chi ha del ferro ha del pane».
La nave vista sul ponte C (sul tetto, fig. 7) da una estremità all’altra, dà all’osservatore la sensazione di trovarsi in una piazza d’armi sospesa in aria. All’orizzonte di prua si profila l’anfiteatro delle colline di Sestri: giù nel piano molto in basso, si scorge il dedalo di tetti delle alte case della industre cittadina ligure: all’orizzonte di poppa si stende un vero abisso che ha per sfondo un immenso mare, le cui piccole onde si frangono ai piedi del colosso.
La superba mole, così pronta ad essere abbandonata al suo elemento ed a ricevere le sue superstrutture, le ciminiere, gli alberi, le macchine, le eliche, tutti i suoi meravigliosi congegni di forza e di precisione, il fasto dei suoi saloni, il comfort raffinato e le superfluità preziose del lusso moderno, non è la parte meno importante della costruzione se si tien conto che per eseguirla occorsero degli ordigni meccanici di dimensioni iperboliche e l’ausilio dei più potenti sforzi dell’arte navale.
Il Duilio, infatti, è una nave che possiede una supremazia incontestata su tutte le altre costruite tanto in Italia quanto all’estero, per essere dotata della compartimentazione stagna più numerosa in cui sia mai stata divisa una nave fino ai nostri giorni.
Con ciò il Duilio garantisce in qualsiasi caso di avaria, una riserva di galleggiabilità che supera le stesse prescrizioni della conferenza di Londra sulla salvaguardia della vita umana in mare, prescrizioni posteriori alla ideazione ed al progetto di detta nave.
Ma quello che sopratutto fa onore al nostro Paese, in questa sua prova di capacità industriale, è che questo vapore, il più grande della marina mercantile italiana, è stato costruito durante la nostra più grande guerra, durante un’epoca in cui la forza delle braccia, del capitale e la potenza dei mezzi costruttivi assursero ad un grado di valore non mai conosciuto prima.
Il varo deh Duilio (fig. 9) si effettuò con una precisione impressionante. Mai nave obbedì con maggiore esattezza alle leggi del calcolo. Quasi immediatamente dopo l’esecuzione del comando: «Taglia le rizze» (ultimi legami della nave), la montagna di metallo mandò come un sordo e breve scricchiolìo, ebbe un attimo d’immobilità, poi, con una lentezza dapprima impercettibile, staccò il suo sperone dalla sua base di prua, e dopo qualche secondo scivolò in mare con una maestà ed una precisione di mossa commoventi.
p.c.
Dopo il varo, il Duilio è stato rimorchiato in porto e ormeggiato alle vicine officine allestimento navi, ove sarà ultimato. Madrina della nave è stata la contessa di San Martino, consorte del senatore, il quale è vice-presidente del Consiglio d’amministrazione della Navigazione Generale Italiana. I lavori del varo sono stati diretti dall’ing. Soliani, direttore generale dei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente.