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 1916  gennaio 23 Domenica calendario

Corriere. La capitolazione del Montenegro. Il governo serbo a Corfù. Re Pietro e re Costantino. Il cardinale Mercier a Roma. La fiducia dell’Italia

Il Montenegro ha chiesta la pace!... Questa la novità che i giornali ieri mattina hanno divulgata. Erano appena otto giorni che quei giornali medesimi avevano stampato sicuramente che Re Nicola avrebbe resistito all’Austria sino all’ultima cartuccia. Così, il pubblico accoglieva ieri con incredulità la notizia della richiesta di pace. Però sono arrivati i telegrammi ufficiali, e non è stato più possibile dubitare.
Non solo, domanda di pace, ma resa a discrezione. L’Austria, e si comprende, eleva questo risultato minimo all’importanza di un grande successo. Nel campo opposto si eccede, forse, nello sminuire il valore di un fatto, che per la penisola Balcanica ha non poca importanza; ed è specialmente importante per noi, gli austriaci essendo a Strumitza, ad Antivari sull’Adriatico, e trovandosi ora padroni delle comunicazioni, libere, verso l’Albania.
Quali ragioni hanno spinto il Montenegro a questa capitolazione?... È opera di Re Nicola – che le recenti notizie dicono riparato a Scutari; o è stato il governo a volere ciò?...
Prima della domanda di pace, il ministero montenegrino presieduto dal generale Vukotic aveva rassegnate le dimissioni a Re Nicola, che subito affidò le redini politiche a Lazzaro Mussovic, che assunse la presidenza e gli esteri. E quattro giorni dopo – il 13 gennaio – i parlamentari montenegrini presentavansi al quartiere generale austriaco accompagnati da due nuovi ministri, e la resa senza condizioni era accettata.
Certi giornali riboccano ora di rimproveri, di rampogne al Montenegro.
Il Montenegro, che fu dei primi, a dare fuoco alle polveri, contro l’Austria, l’8 agosto 1914. dal Lovcen – proprio dal Lovcen – contro le famose Bocche di Cattaro, ha sostenuto valorosamente, pertinacemente, la lunga, aspra lotta, tenendo in iscacco il secolare nemico, e sperando nei tanto vantati aiuti della allora Triplice, poi Quadruplice Intesa. In realtà, quali aiuti mai gli vennero?...
Le famose operazioni navali della squadra francese nell’Adriatico, l’invio di marinai con cannoni sul Lovcen – cannoni di mediocre effetto, furono tutto quanto il Montenegro vide, per breve tempo, e con scarsezza di risultati. Poi il Montenegro fu lasciato a se stesso, mentre l’azione diplomatica della Quadruplice Intesa nei Balcani aggiungeva errori ad errori… fin che è accaduto quello che è accaduto: la Bulgaria con gli Imperi centrali, la Romania sempre più neutrale, la Grecia neutralmente indispettita, la Serbia dalla sopraffazione militare annullata, il Montenegro… resosi a discrezione!...
Il Montenegro era stato, è vero, molto duramente coartato dalla diplomazia austriaca, che, al finire della guerra balcanica, aveva ottenuto dall’Europa che gli venisse impedito il possesso di Scutari, sanguinosamente, eroicamente conquistato; ma, in sostanza, ragioni sue particolari ed immediate nella guerra scoppiata nel 1914, non aveva, esso, contro l’Austria. Vi era l’idealità, la solidarietà slava, a fianco della Serbia; ma dove è ora la Serbia?... Una volta che il dolore di avere il nemico in casa non poteva più essere evitato, valeva la pena di esporre il misero paese a più dure conseguenze?... Nel 1849 accadde qualche cosa di simile in Piemonte dopo la disfatta di Novara. Gli «ultra» non volevano né capitolazione, né pace. Uomini come Carlo Cadorna e D’Azeglio, sorreggendo il nuovo re – che si chiamava Vittorio Emanuele II – preferirono l’armistizio, poi la pace, ai maggiori danni. La demagogia catastrofica fu lasciata alle sue furie da energumena, e la pace di Milano, del 1849, che parve a taluni troppo umiliante, segnò l’inizio vero delle nuove fortune del Piemonte e della resurrezione certa d’Italia...!
Il Montenegro ha dato, certamente, una soddisfazione ai comuni nemici, da costoro amplificata: ma le parole, degli uni o degli altri, non mutano la situazione di fatto. Per gli austro-tedeschi la capitolazione montenegrina è una lieve semplificazione nel complesso dei problemi militari balcanici; per il Montenegro è salvo il salvabile nel presente – dopo prove di valore indiscutibile – e non è compromesso, né per un verso, né per l’altro, l’avvenire. La Quadruplice Intesa riafferma la sua fiducia nella vittoria definitiva, e giova sperare che sarà così. In quel giorno il Montenegro saprà chiarire le ragioni dell’amaro sagrificio, compiuto dopo diecisette mesi di resistenza, non confortata dagli Alleati con l’efficacia che i montenegrini si aspettavano.
Ora – a noi italiani! Il Lovcen, Spizza, Strumitza, Antivari – in mano degli austriaci, sono di fronte a noi, sull’«altra sponda». È immediatamente in giuoco il dominio assoluto dell’Adriatico. Ora, a noi italiani!... È felice augurio ed auspicio propizio ai fatti che verranno la visita rassicuratrice che il Re ha fatto domenica, a Taranto, alle forze navali italiane!
Sono vani gesti di inutile audacia impotente i voli che gli aereoplani nemici vanno ancora compiendo, attraverso l’Adriatico nostro contro città indifese come Rimini ed Ancona. Su Trieste ha volato, pur ier l’altro, il poeta della nostra guerra.
«O Trieste, ti rechiamo oggi nel tuo cielo, con il compianto e con il conforto e con l’orgoglio della Patria infiniti, l’augurio per il nuovo anno, che è il tuo anno mirabile, il tuo anno primo.
«Ritorneremo fra breve per calare nel tuo specchio d’acqua, dinanzi ai tuoi moli imbandierati del Tricolore!...».
Così ha promesso, ieri l’altro, Gabriele D’Annunzio a Trieste. Così ripeterà il Poeta questa sera, al pubblico acclamante alla grande serata di beneficenza nel Teatro alla Scala. Alla stess’ora una grande dimostrazione festante accoglierà a Firenze i ministri Salandra e Martini, che vanno a recare alle opere di preparazione civile della città dei fiori, il conforto della sanzione e della parola di chi ha l’alta responsabilità morale e politica della guerra.
E a Milano, a Firenze, dovunque, vibreranno, in quest’ora dell’ingrata resa montenegrina, alte parole di fede!...
Un altro popolo, un altro governo, un altro Re battono le vie dell’esilio!... La settimana scorsa sbarcavano a Brindisi i membri del governo e del parlamento serbo, che ieri ne sono partiti per Corfù.
Nell’isola dove, nell’Achillejon, che fu già dell’infelice Elisabetta d’Austria, aveva fatto il suo soggiorno di delizia il Kaiser germanico – va ad insediarsi il governo serbo, fin che suoni per esso, come suonerà per il Belgio e per il Montenegro stesso, l’ora della riscossa!...
Frattanto i guai si accumulano sulla Grecia. Essa è sempre neutrale. Re Pietro di Serbia è andato a cercarvi la salute, in una rinomata stazione termale, e Re Costantino gli ha augurato che le aure di Grecia siano benefiche al re in esilio; ma anche per Re Costantino pare stia per suonare l’ora dell’abbandono della sua capitale. Dicono gli ultimi telegrammi che truppe degli alleati anglo-francesi sono sbarcate al Falero – l’antico porto di Atene. Gli archivi della corte e del governo ateniese sono già stati trasportati dalla città di Minerva a Larissa. Re Costantino trasporterà quivi, probabilmente, anche la propria residenza!... I giornali tedeschi annunziando la resa del Montenegro, salutavano ironicamente la fine drammatica del «Terzo Re balcanico». Gli alleati dell’Intesa stanno preparando, pare, la liquidazione del quarto!... Frattanto a Salonicco le forze anglo-britanne sono saldamente piantate, sotto il comando di un generale vigoroso, il francese Serrail.
L’insegnamento che sorge da tutto questo è ancora e sempre uno solo: «Guai ai deboli!» O perché il nemico dichiarato li sopraffa, li sopprime, li piega; o perché l’amico troppo possente li trascina, li travolge – i deboli nella lotta tra i forti finiscono sempre per avere la peggio!...
Così sono sempre più vasti, più complicati i problemi che gli avvenimenti quotidiani accumulano per il giorno in cui si dovrà parlare di pace.
Quando verrà mai questo giorno...?
Il presidente della Dieta prussiana, annunziando la capitolazione del Montenegro ha adoperata questa frase: «Speriamo che presto lo seguano altri e 1’ultimo lo mordano i cani!...» La guerra delle frasi è la più vana e pericolosa. Vana, perché le frasi non servono a nulla; pericolosa, perché le frasi rimangono, e viene troppo spesso, per tutti, il giorno in cui bisogna rimangiarsele.
I giornali che, per la crisi della carta, vanno riducendo in tutta Italia il numero delle pagine, hanno una occasione opportuna a diminuire gli sproloqui, la cui efficacia momentanea è derisoria, e la cui mortificazione in confronto della susseguente realtà non tarda ad arrivare!...
Mostra però un po’di giudizio, in Germania, la Koelnische Zeitung, che di fronte a certi entusiasmi per la capitolazione del Montenegro, scrive:
«Non datevi alla gioia; non considerate prematuramente che la caduta del più piccolo nemico segni la fine di tutti gli altri!...».
A Milano, a Roma ha avuto accoglienze di reverente simpatia e di ammirazione il cardinale Mercier, il primate del Belgio, venuto dal suo desolato paese a portare, nel cospetto del pontefice, le ragioni dell’episcopato belga contro le durezze estreme della dominazione germanica, non volute riconoscere dall’episcopato cattolico tedesco.
Dieciotto mesi di accanita guerra hanno distrutta persino la solidarietà della fede, fra ministri della medesima religione!...
L’episcopato belga domanda l’intervento del Papa! Cosa potrà fare Benedetto XV?...
Vorrà che siano riconosciute le ragioni dei belgi? I tedeschi lo accuseranno di parzialità. Si trincererà in una qualche formula neutralista?... I belgi sentiranno di essere abbandonati da colui che è gerarchicamente la guida suprema della loro fede.
Anche poche sere sono l’organo della Santa Sede protestava contro le «false e tendenziose» intenzioni attribuite al Papa nella sua azione costante perché si arrivi al più presto alla pace. Ma, tant’è. L’accanimento fra i popoli civili d’Europa non ammette quasi più né obbiettività di critica, né serenità di visioni, né altezza di intenti umanitari.
Le soluzioni accettabili non può darle che la vittoria, non si aspettano che dalla vittoria, e tutti intendono ad essa.
Ognuno dei bollettini di guerra che vengono dal nostro fronte segnano un passo avanti eroicamente compiuto su quella via. In alto i cuori, e sempre avanti con fede...!
L’Italia, di tutte le nazioni che combattono, è quella i cui compiti sono forse più ardui – e la capitolazione montenegrina certo ora li accresce: ma è quella che può essere più legittimamente soddisfatta di uno svolgimento che, in otto mesi precisi, non segna un solo passo indietro, e la avvicina di giorno in giorno, sempre meglio, al compimento delle speranze nazionali.
Non è per nulla sminuita la fiduciosa serenità del pubblico; sul fronte i soldati resistono alla ridotta guerra invernale, preparandosi a quella più ampia che per la primavera si attende; – nel paese, il fervore della civile preparazione segna l’emulazione crescente fra le cittadinanze non chiamate alle armi; mentre nelle banche ferve il lavoro per l’affollarsi del pubblico alla sottoscrizione del terzo prestito di guerra, ogni giorno più popolare. Il paese mostra sotto ogni aspetto le sue mirabili qualità di fiducia e di equilibrio; e se a Roma i rimasugli dei partiti parlamentari ruminano la consueta casistica recriminatrice; se a Bologna nel Congresso dei municipii socialisti gl’intransigenti sfogano le loro invettive contro il positivismo realistico del sindaco Caldara e di chi deve conciliare la teoria internazionale con la pratica dei doveri indeclinabili; il paese, votato alle opere buone, non ha né orecchio né tempo per queste piccole miserie.
Alti doveri chiamano tutti a perseverare nella concordia – dalla quale soltanto può sorgere la tranquilla visione dell’avvenire!