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 2016  maggio 25 Mercoledì calendario

Massimo e Carola, una storia esemplare di immigrati latini a New York

Alla fine degli anni ’80, per problemi legati a disavventure di famiglia, Massimo, poco più che ventenne, un tempo compagno di scuola dei miei figli, allievo di Fratel Igino (a proposito, buon 90° compleanno caro amico!), compra un biglietto di sola andata e scompare nel ventre oscuro di NY. Campa di lavoretti, poi ne trova uno fisso in un negozio sulla Quinta, viene pagato come dicono loro «under the table» da proprietari casualmente ebrei. Di certo i poliziotti sanno tutto di lui, ma lui non avrà mai problemi con loro, grazie ai titolari. Non ha ovviamente la «carta verde», è una «non persona», non ha documenti, può essere espulso in ogni momento, non può avere un auto, servizio sanitario, ogni anno partecipa alla lotteria della green card, mai la vincerà.
Ogni volta che andavo a NY, l’unico appuntamento che la mia segretaria doveva considerare fisso era la cena con Massimo, dal giapponese Inagiku o da Smith & Wollensky, grandi scorpacciate di T-bone, pannocchie di granoturco arrostite, aragoste XL del Maine, irrorate di burro fuso. Anno dopo anno il suo amore per l’America aumenta, ora è un vero americano, lo vedo felice.
Un giorno conosce una ragazza sudamericana che lavora all’Onu, Carola, si innamorano, si sposano. Lui riesce a entrare all’Oni, ora è sotto la giurisdizione NU, è tornato uomo, avranno poi tre meravigliosi bambini, una casa in affitto al Village. La retribuzione è quella degli impiegati pubblici, gli altri loro amici che lavorano nel privato hanno compensi scoppiettanti, bonus a go go. I boom economici si succedono, il costo della vita a NY aumenta, capiscono che devono trasferirsi fuori città, scelgono un paesino sul fiume (Hudson) in mezzo ai boschi (30 minuti di treno), con un mutuo comprano una villetta. I loro vicini hanno storie simili, mutui simili, ma loro lavorano nel privato, hanno prospettive migliori. Le nostre cene a NY si ripetono anno dopo anno, quando posso li raggiungo nella villetta fra i boschi.
Arriva il 2008, tutto cambia. I loro vicini di casa, perdono il lavoro, non possono pagare il mutuo, di conseguenza perdono l’anticipo dato per la casa (i risparmi di una vita), la banca ne diventa proprietaria, subito li sfratta, immediatamente esecutivi. Solo Massimo e Carola restano, hanno uno stipendio Onu, sono in grado di pagare il mutuo, i loro amici ex vicini di casa no, sono i nuovi paria, per sopravvivere si spostano sempre più a nord. Nelle case vendute, arrivano nuovi vicini. Sono depressi, andando in quel paesino è come se l’ascensore sociale li avesse fatti scendere di due piani, di contro Massimo e Carola, essendo rimasti fermi, è come se fossero saliti di un piano.
A tutti gli utenti dell’ascensore sfugge perché i banchieri e i politici responsabili di questo disastro cosmico non siano in galera. La condanna di Madoff la considerano una buffonata per allocchi, 150 anni a uno solo, tutti gli altri ancora lì a pontificare e arricchirsi, impuniti: suicidio del capitalismo e della magistratura embedded al potere (la stessa che vorrebbero introdurre anche da noi). Questo sarà il tema delle nostre cene, dal 2008 in avanti. La «nostra America» facciamo fatica a riconoscerla.
Ieri a cena, al «Contra» (nomen omen) con Carola, Massimo, mio figlio, abbiamo concluso che il passato non tornerà più, l’ascensore sociale può solo, o rimanere al piano o scendere. Si vive sempre di più ma sempre peggio, istruzione e sanità hanno costi in aumento, così il costo della vita (a NYC un litro di latte costa 5 $, un pacchetto di sigarette 17), la qualità del cibo e dei servizi è in caduta verticale, le retribuzioni ferme o in discesa, il precariato lo standard.
Abbiamo tentato una sintesi, Carola e Massimo, grazie al loro status di dipendenti pubblici sono entrati in una nuova classe sociale, figlia della Grande Crisi. Visto che gli ex ricchi sono ora fantazzionamente ricchi, la classe media sempre più povera, i poveri molto più poveri di prima, Carola e Massimo, in termini di differenziale sono i nuovi ricchi. Hanno un buon servizio sanitario (per ogni $ versato, l’Onu ne mette due, come faceva la Fiat di Valletta, quando quegli idioti del Pci lo bollavano come paternalista), possono andare in pensione a 62 anni con il 70% dell’ultimo stipendio, ma pure lavorare fino a 67, permettendo così ai loro figli di studiare in una università un tempo per ricchi.
E quelli che hanno ridotto così l’America (i Clinton, i Bush, gli Obama, quelli di Wall Street, le felpe californiane) vorrebbero che non votassero Trump o Sanders o Cruz, perché «populisti», ma per il «meno peggio», cioè Hillary Clinton. Sono idioti o lo fanno? E se il vero cambiamento dell’Occidente partisse proprio dagli Stati Uniti?
Aspettiamo novembre, sereni.