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 2016  maggio 25 Mercoledì calendario

Cassa integrazione, un guaio da 56 miliardi. Tanto l’Inps ha dovuto sborsare dal 1980 a oggi

Una bomba (finanziaria) innescata: nei bilanci dell’Inps c’è una mina a tempo che prima o poi esploderà. Complice soprattutto gli ultimi 8 anni di pesante crisi economica, tramite il bancomat Inps sono stati smistati a milioni di lavoratori, quasi 40 miliardi in assegni di cassa integrazione, cassa in deroga e straordinaria e relativi contributi figurativi.
E tanto per non incorrere in deprecabili errori – vista pure la massa di dati in ballo – abbiamo chiesto all’Ufficio Studi Consulenti del lavoro – in sostanza i signori che compilano l’80% delle buste paga degli italiani – di elaborare la serie storica delle ore autorizzate di Cig e i relativi costi dal 1980 ad oggi.
Ne salta fuori che in 35 anni solo per Cig, e declinazioni varie, abbiamo speso oltre 56 miliardi. A dirla tutta non ci sono solo Cassintegrazione ordinaria (Cigo), quella Straordinaria (Cigs), e quella in deroga (stesso ammortizzatore declinato in maniera differente a seconda dei fruitori e del tipo di crisi), altrimenti il conto finale lieviterebbe ancora. Ma esistono anche – introdotti più recentemente – gli assegni di disoccupazione e quelli di mobilità.
Ebbene il bancomat Cig viene alimentato sia con i contributi delle imprese, che pagano una percentuale in base al numero di occupati, della provincia in cui è attivo lo stabilimento, dell’alto o basso ricorso a manodopera, sia da un prelievo in busta paga dai lavoratori che così facendo (e versando), si assicurano un paracadute in caso di rallentamento dell’attività economica del Paese e della propria azienda. Null’altro che un’assicurazione sul rischio di perdere parte del salario, che viene così integrato grazie ai fondi accumulati nei tempi di vacche grasse.
In sostanza, tra contributo delle imprese e quello dei lavoratori, l’Inps incassa una tassa, calcolata “a spanne” e per difetto, pari a circa il 2% in media tra fatturato delle aziende a cui si applicano questi ammortizzatori e una quota proporzionale dei salari degli addetti a cui si può, potenzialmente, accordare la Cig.
Ripetiamo: tutto bene finché l’economia tira/tirava. Tra entrate e uscite, fino al 2007, esisteva un rapporto di 100 a 47. Vale a dire che entravano cento euro e se ne spendevano circa la metà per garantire assegni e contributi figurativi. Dal 2008 ad oggi però il meccanismo si è inceppato: non solo tante aziende hanno chiuso (non pagando più il contributo), ma tanti lavoratori sono finiti in Cig (non pagando la voce e incassando l’assegno). Di più: l’economia ha rallentato così tanto che secondo stime prima di tornare ai livelli ante crisi ci vorranno almeno 7 anni. Il che vuol dire che essendo il contributo Cig pagato anche in base ai volumi finanziari realizzati dalle aziende (fatturato, occupati, ecc), il contributo incassato si è assottigliato di parecchio.
Ovviamente non si possono lasciare a pancia vuota milioni di lavoratori. Lo Stato ha dovuto pesantemente integrare, in questi anni di crisi, il fondo cassintegrazione (stime sindacali ipotizzano un contributo pari al 50%).
Augurando al nostro Paese di tornare a crescere, produrre ed assumere, resta da chiedersi chi pagherà fra 10, 20 o 30 anni i contributi figurativi promessi a milioni di lavoratori che sono finiti in Cig. A Termini Imerese, tanto per fare un esempio, ci sono stati operai della Fiat che sono transitati dopo 10 anni di Cig (diversamente denominata e modulata), direttamente in pensione. Ma di casi come questi (soprattutto nelle regioni meridionali dove i periodi di garanzia potevano tranquillamente raddoppiare), ce ne sono moltissimi.
Il problema, dicevamo, sarà garantire la copertura dei contributi figurativi quando i lavoratori incappati in un periodo di Cassintegrazione reclameranno il diritto alla pensione. Lo Stato – tramite l’Inps – dovrà riconoscere “al calcolo e al diritto” i periodi di contribuzione, e poi pagare le relative pensioni. A quel punto il meccanismo bomba esploderà. Nel senso che l’Inps dovrà chiedere maggiori integrazioni a via XX Settembre e il Tesoro non potrà fare altro che accordarle. Sempre che non si vogliano cambiare le regole del gioco. Fino a quando l’Inps e lo Stato riconosceranno i contributi figurativi? Già nel 2012 Elsa Fornero provò a cancellare i periodi di contribuzione figurativi (per esempio quelli per la donazione sangue e assistenza invalidi), poi viste le proteste nel 2014 venne riconosciuto il diritto al calcolo e alla conseguente pensione. Nulla esclude che si possa riprendere questa strada. Per risparmiare, ovviamente. Sfogliando il bilancio Inps 2012 salta fuori che in soli contributi figurativi la spesa è lievitata del 20,9% in più rispetto al 2011. Una tendenza che continua anche nel 2013 e 2014. E poi il lavoratore che finisce in Cig verserà meno contributi e quindi il suo personale montante contributivo sarà più basso. E alla fine avrà una pensione un po’ più bassa.