Il Messaggero, 25 maggio 2016
I profughi di Idomeni vengono deportati verso Sud
Per i circa diecimila profughi di Idomeni si allontana un’ottantina di chilometri la meta di una vita nuova da qualche parte nel Nord dell’Unione europea. Il campo sorto nel 2014 in territorio greco a ridosso del confine con la Macedonia, tappa obbligata per chi inseguiva il sogno attraverso la rotta balcanica, da ieri mattina ha cominciato a essere smantellato. Via le prime tende e via le prime centinaia di disperati. I pullman sul quale sono stati fatti salire hanno preso la strada per Salonicco, la città costiera intorno a cui la maggior parte degli sloggiati sarà ridistribuita. Alla fine della giornata, sotto il controllo di circa 1.500 forze dell’ordine, il bilancio è stato di 32 pullman e circa 1.500 persone trasferite. Per la prima accoglienza saranno sistemati in ex capannoni industriali.Da quando, nel 2015, prima la Serbia e dopo la Macedonia, avevano reso pressoché impraticabile la rotta balcanica, il campo di Idomeni si era trasformato in un lago umano, con una diga di filo spinato da una parte e un fiume di profughi che continuava a riversarcisi. E da mesi era diventato una bomba a orologeria con anziani, donne e bambini ammassati tra il fango in condizioni insopportabili, soprattutto dal punto di vista sanitario. Giudicato idoneo per ospitare duemila persone, il campo è arrivato a ospitarne fino a 15 mila a inizio di quest’anno per poi scendere intorno agli attuali 8-9 mila.
NESSUNA TENSIONE
Lo sgombero, cominciato non appena ha fatto giorno, si è svolto in un clima di estrema collaborazione. Nessuna reazione violenta da parte dei profughi, nessun atteggiamento di arroganza da parte delle forze dell’ordine. Al campo non è stato consentito l’accesso né di operatori di organizzazioni non governative, né di giornalisti.Provenienti quasi tutti da Siria, Iraq e Afghanistan i profughi di Idomeni non sembrano avere alcuna intenzione di muoversi sulla via della forza e della violenza da cui sono fuggiti. È vero che nei mesi scorsi la tensione nel campo spesso è stata molto alta ma considerando le condizioni in cui ci si viveva e la disperazione per la chiusura della rotta balcanica si può dire che sia stata una tensione più che giustificata e accettabile.Come accettabile è la tensione mostrata ieri dal presidente turco Erdogan che ha espresso il suo disappunto per l’assenza di quasi tutti i leader del G7 al World Humanitarian Summit che si è aperto lunedì scorso a Istanbul. «Sono sconvolto – ha detto Erdogan, citato dal quotidiano filo-governativo Sabah – dal fatto che nessun leader del G7, tranne la cancelliera tedesca Angela Merkel, abbia partecipato al Summit». A Istanbul l’Italia è rappresentata dal viceministro degli Esteri, Mario Giro, accompagnato da Laura Frigenti, direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.
L’AFFONDO
Ma Erdogan non si è limitato a questo, attaccando duramente l’Unione europea in merito alla crisi dei migranti. «Gli aiuti promessi dallUe per laccordo sui migranti non sono mai arrivati alla Turchia. «Finora le promesse fatte non sono state mantenute. La Turchia non sta chiedendo favori ma onestà. Se non ci saranno progressi sulla liberalizzazione dei visti, la Turchia non continuerà nella attuazione dell’accordo sui migranti» ha minacciato il leader turco: «Sui visti l’Ue ci chiede altri sforzi, ma l’esenzione è stata concessa ad altri Paesi» più facilmente. «Alla cancelliera Merkel – incontrata lunedì – ho chiesto: perché invece volete tutto dalla Turchia?», ha aggiunto Erdogan, riferendosi alla richiesta di Bruxelles di modificare la normativa antiterrorismo di Ankara.