Il Sole 24 Ore, 25 maggio 2016
...i club all’estero sanno come fare soldi
Il calcio è sempre più un settore anticiclico. In Europa, nel pieno del vortice della crisi finanziaria, il giro d’affari aggregato delle Leghe e delle Federazioni ha raggiunto i 21,6 miliardi di euro. Tra il 2011 e il 2014, mentre i Pil procapite nel Vecchio continente cresceva con percentuali tra l’1,2% e il 3,8% annui, i ricavi diretti del calcio macinavano tassi di sviluppo dal 2,8 al 7,3 per cento.
In particolare, gli introiti tv, commerciali e da stadio prodotti dai 716 club appartenenti ai massimi campionati delle 54 Federazioni Uefa sono stati pari nel 2014 a 15,9 miliardi, con una crescita media dal 2010 del 5,6 per cento (i costi parallelamente sono saliti del 3,3%) a fronte di un incremento medio dell’economia europea del 2,3 per cento. Peraltro, il calcio europeo, sia per l’introduzione del fair play finanziario a livello di competizioni internazionali che di regole di controllo contabile nazionali (adottate da Premier League, Bundesliga, Liga e di recente dalla stessa Serie A) ha anche avviato un percorso di risanamento. Al punto che la perdita aggregata nel 2014 è stat a di soli 500 milioni di euro rispetto agli 1,7 miliardi del 2014.
La fotografia scattata nel ReportCalcio 2016, il periodico dossier predisposto da Figc, Arel e PwC presentato ieri alla Camera, aiuta a comprendere il perché dei massicci investimenti che dall’Asia (in primo luogo dalla Cina) e dagli Usa si stanno riversandosi sul calcio europeo. Sia sui club che su quelle aziende che stanno facendo leva sulla evoluzione globale dello Sports entertainment. Solo negli ultimi giorni, ad esempio, l’Aston Villa, team appena retrocesso in English football league championship è stato ceduto dal proprietario, l’americano Randy Lerner, per circa 60 milioni di sterline alla Recon Group di Tony Jiantong Xia, holding che possiede partecipazioni in società quotate nella borsa di Hong Kong e nelle altre Borse cinesi. Pochi giorni dopo il colosso cinese del marketing Desports per circa 40 milioni di euro ha rilevato il Granada, club spagnolo che insieme all’Udinese e al Watford faceva parte del gruppo creato dalla famiglia Pozzo. Ed è notizia di queste ora che una cordata composta da Everbright, gruppo di servizi finanziari, e da Baofeng azienda di digital entertainment, attraverso il veicolo Shanghai Jin Xin, hanno messo le mani sul 65% di MP&Silva, società fondata nel 2004 che ha costruito i suoi successi sull’intermediazione internazionale di diritti sportivi commercializzati in oltre 200 paesi (dalla Premier League alla Nba americana, dalla Formula 1 alla stessa Serie A).
In questo contesto, tuttavia, il calcio tricolore mostra la corda. Nel 2014 la Premier league inglese ha sfiorato un fatturato totale di 4 miliardi (cifra che con il nuovo contratto tv sarà ora abbondantemente superata), la Bundesliga ha viaggiato sui 2,2 miliardi e la Liga spagnola è giunta a un passo dalla soglia dei due miliari, la Serie A ha arrancato a quota 1,7 miliardi, inseguita da vicino dalla Ligue 1 francese che ha registrato un giro d’affari (grazie alle performance del Paris Saint-Germain qatariota) di circa 1,5 miliardi.
Non a caso, i 20 club del massimo campionato inglese (dopo anni di conti in forte squilibrio) nel 2014 hanno accumulato utili per 196 milioni, i 18 della Bundesliga per 48 milioni e i 20 della Liga spagnola per 8,8 milioni. E se in questi tornei il 75% delle società matura profitti, in Italia è esattamente l’opposto, con 13 club su 20 in rosso e un deficit complessivo di 324 milioni. Un trend negativo che ha causato un’erosione progressiva del patrimonio netto nel 2014 inferiore a 200 milioni contro i 2,6 miliardi della Premier e gli 850 milioni della Bundesliga. Una debolezza strutturale figlia del mancato aggancio alla rivoluzione industriale del Football mondiale.