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 2016  maggio 25 Mercoledì calendario

Poesie e nudità a Capocotta

Quando decidemmo di uscire dalle cantine (romane), dove avevamo effettuato i nostri esperimenti con la poesia, dico con la poesia e il pubblico, venne spontaneo alla mente di tutti noi, più o meno trentenni, di costruire un palco sulla spiaggia di Castelporziano. Associavo questo nome a un episodio della mia infanzia: un fatto di cronaca nera, il primo davvero clamoroso dell’Italia repubblicana. Se ne parlava in famiglia e ovunque. Ne parlavano la radio e i giornali. Sentii per la prima volta parole e nomi fino a quel momento ignoti: Castelporziano, Capocotta, jazz, Piero Piccioni, Ugo Montagna, verginità. Mamma, che vuol dire verginità? Il fatto era questo: una ragazza di ventuno anni, Wilma Montesi, era stata trovata cadavere in un punto della spiaggia che va da Ostia a Torvaianica. Era seminuda, non si capiva come fosse arrivata sin lì dalla stazione di Ostia, non si capiva come fosse morta. Avevo dieci anni, con ogni evidenza mi colpì quanto si ripetesse che quella ragazza era vergine. Poi se ne continuò a parlare, entrò in ballo la politica, vi erano in gioco interessi e complicità losche – che ovviamente non capivo. Per altro non ne capiva nessuno, o in molti oscuravano le cause reali dell’accaduto.
Di fatto, Capocotta, prima dell’eventuale delitto, era il luogo del mistero. Era il 1953. A volte suppongo che quando si pensò per la poesia a Castelporziano, quell’idea sia nata da un inconscio desiderio di tornare sul luogo del mistero e cancellarlo (uscivamo dal buio delle cantine) con una festa: alla fine vincerà la luce. Non sto scherzando, dico la verità. Quel pensiero io l’ebbi – benché mai avrei immaginato che la festa sarebbe stata ciò che fu e che in quelle tre sere del giugno 1979 sarebbero arrivate sulla spiaggia di Castelporziano trentamila persone.
Poi, tra Capocotta e Castelporziano, l’una frazione di spiaggia di seguito all’altra, non c’ero mai stato. Me la feci tutta a piedi, scoprii, vedendolo dal vivo, ciò che se ne sapeva, che quello un luogo di festa, se così vogliamo chiamarla, lo era già: un luogo di libertà, di pieni poteri a chi poteri non vuole. Capocotta era la spiaggia dei nudisti, quei nudisti ormai si spingevano, incuriositi, al limite della nostra frazione di spiaggia, dove era stato eretto il palco e dove i poeti avrebbero recitato le loro poesie. La nudità, tutto alla luce del sole, anche se era notte, divenne (questo non potevamo immaginare) rispetto ai fatti del 1953 il momento magico e puro. Lassù, sul palco, i poeti. Sulla spiaggia, nudi come se nudi non fossero, i loro spettatori, i nudisti di prima e, contagiati, quelli di adesso.