Corriere della Sera, 25 maggio 2016
File ai distributori e auto a secco. Tocca al sindacalista Emmanuel Lépine spiegare ai francesi la protesta del settore petrolifero
Parigi Per fare passare la legge El Khomri sulla riforma del lavoro, il 10 maggio scorso, il governo francese ha fatto ricorso all’articolo 49-3 della Costituzione, evitando un voto in Parlamento che non era sicuro di controllare. Quella decisione ha stabilito il tono del confronto e mostrato tutta la determinazione di un esecutivo che in queste ore non ha certo risparmiato le forze, anche verbali: «I sindacalisti prendono in ostaggio i francesi», hanno detto prima il ministro delle Finanze Michel Sapin e poi il premier Manuel Valls. A rispondere alle bordate del governo la CGT ha designato il segretario generale della branca chimica e petrolio, Emmanuel Lépine. Con la sua camicia a rigoni viola è il signor Lépine ad apparire in tutte le tv, tocca a lui difendere davanti ai francesi la protesta forse più impopolare che si possa immaginare. Peggio dei treni fermi e dei voli cancellati, in Francia e altrove, ci sono solo le file ai distributori e le auto che rimangono a secco.
Il capo della CGT è Philippe Martinez, l’ex comunista figlio di immigrati spagnoli che in queste ore coordina le azioni del sindacato in tutti i settori, dai trasporti all’energia. Rispondendo all’invito di François Ruffin, uno dei leader ufficiosi del movimento spontaneo Nuit Debout, Martinez cavalca la protesta nelle piazze e sta lanciando il primo sindacato di Francia – ma che ha soli 700 mila aderenti – nella battaglia definitiva contro la legge El Khomri.
Un’occasione d’oro, tutto sommato, per ridare smalto a un’organizzazione indebolita dalle vane proteste del 2010 contro la riforma delle pensioni, dall’addio dell’amato leader Bernard Thibault, e soprattutto dal disastro del suo successore Thierry Lepaon, costretto a dimettersi nella vergogna per essersi fatto pagare dal sindacato i 130 mila euro di lavori di lussuosa ristrutturazione dell’appartamento di funzione.
La CGT, fondata nel 1895 a Limoges e per tradizione vicina al partito comunista francese, negli ultimi mesi stava perdendo terreno a vantaggio della CFDT, il sindacato cristiano che l’ha scalzata, per esempio, dal suo tradizionale bastione di Air France.
Ma il movimento contro la riforma del lavoro vede adesso la CGT in prima linea, e Lépine diventa un volto noto. È chiamato a tenere testa al capo del governo, e lo fa con una certa efficacia.
Quando Valls parla di francesi «presi in ostaggio» perché non possono fare benzina, Lépine gli ricorda in tv che in questa fase storica, tra attentati e terrorismo, gli ostaggi sono un’altra cosa. Il governo in preda al nervosismo evoca il «ricatto del sindacato»? Lépine ribatte con pacatezza che «se esercitare il diritto di sciopero diventa ricattare, allora è la fine della democrazia».
Il rappresentante della CGT prova sempre a rimandare la palla nel campo dell’avversario: se tutte le otto raffinerie francesi sono ferme, «la colpa è della sedicente fermezza del governo: due impianti che ancora funzionavano hanno deciso il blocco dopo le violenze della polizia a Fos-sur-Mer».
Le manifestazioni contro la riforma del lavoro non sono certo oceaniche, e i sindacati da anni continuano a perdere iscritti: chi fa notare che la protesta nel Paese è minoritaria, poco rappresentativa, non ha tutti i torti. Lépine ripete comunque che la CGT si fermerà solo quando il governo avrà ritirato la legge El Khomri. E spera che, nei giorni della benzina razionata, i francesi finiscano per odiare Valls più che lui stesso.