la Repubblica, 25 maggio 2016
Ventisei anni a De Santis per aver ucciso Ciro. La mamma di Esposito: «Sapevo che tutto sarebbe andato secondo giustizia ma per quell’uomo non provo odio»
«La Corte condanna l’imputato Daniele De Santis a ventisei anni di carcere e a 140mila euro di risarcimento alla famiglia di Ciro Esposito». L’aula bunker di Rebibbia è un fiume di telecamere, taccuini, amici di Ciro. La madre e il padre di Esposito siedono tra i banchi riservati agli avvocati, sei file dopo i pubblici ministeri Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio che avevano chiesto per l’ultrà romanista l’ergastolo. Alla loro destra, ad ascoltare la sentenza della III sezione della Corte d’Assise di Roma disteso su una barella c’è l’imputato numero uno a processo per omicidio. Dal pubblico a lettura del dispositivo, si leva la voce di una donna. «Deve marcire in carcere, marcire!». I venti agenti antisommossa presenti in aula sono schierati attorno a loro, gli amici di Ciro. Ma niente di quanto era possibile accadesse – scontri o discussioni tra le parti – è successo. A parte quel grido a sottolineare una condanna che non ha concesso attenuanti a”Gastone”. Motivo per cui «ricorreremo ovviamente in appello», spiega l’avvocato Tommaso Politi che sperava in un proscioglimento per legittima difesa.
La sentenza di condanna a 26 anni di carcere arriva dopo 4 ore di camera di consiglio e a quasi due anni dalla morte di Esposito, il tifoso del Napoli ferito al torace da un proiettile durante gli scontri nel parcheggio di Tor di Quinto prima della finale di Coppa Italia Fiorentina- Napoli e morto dopo 53 giorni di agonia al Policlinico Gemelli. Era il 3 maggio del 2014. Le indagini della procura, grazie a testimonianze, ricostruzioni della digos e prove inconfutabili, come la polvere da sparo trovata sui guanti di De Santis, portarono subito a individuare il responsabile dell’agguato mortale.
Ieri il processo, iniziato l’8 luglio del 2015 ha visto la parola fine, con una condanna a 8 mesi di reclusione anche per i due tifosi Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito che parteciparono alla rissa.
A differenza della mamma della vittima, non è soddisfatto per la sentenza il papà di Ciro: «Io quel mostro non lo perdono. Mio figlio aveva 30 anni e doveva campare fino a 90, altri sessant’anni. Che quello esca tra 26 anni per me è poco: tutta la vita deve rimanere dentro e non trovare mai pace. Quindi ho sentito che loro faranno appello? Bene lo farò anche io, perché ventisei anni sono pochi, sono niente per me. Voglio l’ergastolo». Dello stesso avviso il consigliere regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli che sostiene: «La pena è troppo mite soprattutto se si pensa che De Santis aveva pianificato un attacco al pullman dei tifosi del Napoli senza preoccuparsi di poter provocare una vera e propria strage».
L’augurio che la sentenza diventi al più presto definitiva è invece quella del sindaco di Napoli Luigi De Magistris e del ministro dell’Interno Alfano: «La condanna a 26 anni è una condanna con una pena molto alta e nessuno si sogni di non renderla certa. La condanna è stata severa, la pena deve essere per intero scontata quando sarà il momento».
***
«Mia nipote di 12 anni mi ha appena scritto un sms: “Andrà tutto bene, ti amo”». Sorride Antonella Leardi, la mamma di Ciro Esposito, tre minuti prima che la III Corte d’Assise, riunita in camera di consiglio, rientri in aula per leggere la sentenza. E mentre sorride stringe forte tra le mani il cellulare con l’immagine del figlio stampata sulla custodia plastificata. Alle 13.30, puntuale, arriva la sentenza.
Signora Leandri, 26 anni per l’assassino di suo figlio, è soddisfatta?
«Si può essere soddisfatti quando ormai si è perso un figlio? No, una madre a cui uccidono un figlio non può mai essere abbastanza soddisfatta, nessun anno di galera potrà mai restituirmelo. Posso però dire che la giustizia è stata giusta».
Cosa intende?
«La mia vita non è più la stessa, nulla potrà mai ripagare ciò che era mio figlio. Ma sa cosa mi dà quel briciolo di soddisfazione? Il fatto che questa sentenza possa essere un monito e che altre mamme non soffrano più solo perché il figlio decide di andare a vedere una partita di pallone. Lo sport deve essere divertimento, allegria; tragedie così non devono più accadere. E allora sì, da questo punto di vista posso affermare di avere una piccola soddisfazione».
I pubblici ministeri avevano chiesto l’ergastolo però.
«Tecnicamente la condanna di oggi è come se lo fosse, un ergastolo. Se devo essere sincera questo processo è stato guidato in modo egregio e assistere alle udienze mi ha ridato tanta speranza e fiducia, quella che mi dava Ciro quando era vivo. Le prove portate in quest’aula sono state tante e non poteva che finire con una condanna. Questa mattina poi ero serena e questo è stato un segno divino che tutto sarebbe andato bene secondo giustizia. E così è stato».
Cosa prova nei confronti di Daniele De Santis?
«Io Daniele De Santis l’ho perdonato il 4 maggio, il giorno dopo gli scontri, non ho mai provato odio per lui ma ho sempre preteso giustizia. Ed è questo atteggiamento secondo me quello più giusto per onorare mio figlio, nato e cresciuto nell’amore e nel rispetto altrui».
Come fa a trovare tutta questa forza?
«All’odio non si risponde con altro odio. Vede, Ciro è stato ucciso per odio, in un contesto di estremo astio legato a una diversa veduta tra tifoserie. Se io provassi odio, quel sentimento che mi ha portato via mio figlio, quel sentimento stupido che non porta a nulla e da nessuna parte, sarei uguale a chi ha premuto quel grilletto. Io non sono così e questo dolore immenso che provo non ha cambiato il mio modo di essere».
Perdonare aiuta a superare il dolore?
«Sì, io voglio costruire un futuro migliore, voglio che queste tragedie immani non accadano più. Ed è questo che mi fa andare avanti a testa alta, con dignità e sopravvivere a un qualcosa che ti uccide dentro».
Sabato scorso a Roma c’è stato un accoltellamento dopo la finale di Coppa Italia. È sicura che una sentenza possa essere un monito?
«Non ne sono sicura ma ci spero. Ventisei anni chiusi in un carcere sono tanti. Spero che tutti possano riflettere su questo prima di impugnare un’arma per una partita di pallone».
La pensano così anche gli altri suoi due figli?
«Li ho educati così. Oggi siamo stati in quest’aula per un dovere verso Ciro che è sempre con no; lui era quello di mezzo dei tre figli, il suo sogno era andare a vivere in Inghilterra con la fidanzata. Avrebbe compiuto 31 anni se non me lo avessero portato via».