Il Sole 24 Ore, 24 maggio 2016
Dall’orologio atomico alla macchinetta del caffè, molta Italia orbita nello spazio
Pannelli solari ad alta efficienza, radar sofisticati, antenne dei sistemi di telecomunicazione per lo spazio profondo, camere fotografiche ad altissima risoluzione: il nostro sistema solare è pieno di tecnologie italiane montate a bordo di satelliti dell’Agenzia spaziale europea, Esa, ma non solo. Un esempio: senza il sensore di assetto stellare A-STR, Autonomus Star Tracker, prodotto da Leonardo-Finmeccanica, la sonda New Horizons di Nasa non avrebbe mai capito quale strada prendere per arrivare e sorpassare Plutone nel 2015, a 6 miliardi di chilometri dalla Terra. Di queste particolari “bussole” cosmiche negli anni ne sono state vendute più di 100.
Ma in Italia c’è anche la capacità di coordinare, assemblare e testare un sistema complesso: in questo momento è in volo verso Marte Exomars 2016, che arriverà a ottobre e sgancerà sul pianeta rosso attrezzature sviluppate in gran parte nel nostro Paese. Tutta la fase di assemblaggio e test del complesso, satellite più lander, è stata gestita a Torino da Thales Alenia Space (azienda partecipata al 33% da Leonardo-Finmeccanica e al 67% dalla francese Thales).
Il pianeta più studiato, sorvegliato e servito dallo spazio è comunque il nostro. L’Italia, con la propria costellazione di satelliti radar CosmoSkyMed, di uso sia civile che militare, ha quattro occhi che osservano continuamente il pianeta (per motivi di prevenzione e soccorso) grazie ai radar, tecnologia in cui non abbiamo rivali. Importante la partecipazione italiana nella nuova costellazione di satelliti europei per il telerilevamento Sentinel, dove ci siamo con gioielli tecnologici come i radiometri, capaci di misurare la temperatura degli oceani al decimo di grado da 800 chilometri di altezza. E poi c’è Galileo: il sistema di geoposizionamento europeo per fine anno avrà 18 elementi in orbita e Telespazio (di cui Leonardo-Finmeccanica ha la maggioranza) partecipa alla gestione del flusso di dati ed è in pole position per il mercato, che si preannuncia ricco, delle applicazioni commerciali per treni, aerei, trasporti e altro. L’orologio atomico (1 secondo di errore ogni 3 milioni di anni), che è il cuore del sistema e sfrutta anche la teoria della relatività, è un prodotto di punta sempre di Leonardo-Finmeccanica.
C’è tecnologia italiana anche nella Stazione spaziale internazionale, Iss, il manufatto più grande mai costruito dall’umanità: 100 miliardi di dollari il suo costo e più di 1 miliardo il contributo italiano complessivo. Impegnativo, ma le commesse sono arrivate: più del 50% della parte abitabile dagli astronauti è stata realizzata (principalmente a Torino) da Thales Alenia Space, che grazie all’esperienza acquisita si è aggiudicata anche l’ordine di 6 moduli Cygnus, sempre per la Iss, da parte della Orbital, una delle ditte private che vanno fortissimo in Usa.
Oggi poi vengono venduti (per 256 milioni) pacchetti di 10 voli con il vettore Vega, sviluppato nel nostro Paese; tra i clienti c’è anche Google, con i suoi piccoli satelliti per il mapping della superficie terrestre.
L’Italia è fra i primi 10 Paesi al mondo per impegno finanziario nello spazio, il terzo in Europa; nel 2015 ha partecipato ai programmi europei di Esa con 512 milioni, un contributo inferiore solo a quelli di Germania e Francia. La nostra Agenzia spaziale, Asi, può contare su più di 700 milioni all’anno, che diventeranno 800 nel 2017. Un aumento non scontato di questi tempi, che dà conto dell’interesse del governo per la “space economy”, la nuova frontiera per l’economia Usa, partita dalla California, la terra della new economy. Tanti, ma proprio tanti, i miliardi investiti dai privati in Usa in questo settore (tra gli investitori Bill Gates, Elon Musk, Jeff Bezos, Larry Page).
A livello italiano si calcola per l’economia legata allo spazio un giro d’affari di 1,5 miliardi nel 2014, ma si può fare molto di più. Questa la convinzione che ha portato il governo a istituire una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio, con Asi e Regioni, per coordinare investimenti e politiche. I numeri di Asi dicono che 1 euro investito nello spazio diventa poco di più nel caso in cui l’investimento sia sulla scienza, necessaria comunque per aumentare la conoscenza e provare tecnologie; ma si può arrivare a 6 euro in ambiti particolarmente remunerativi, come le telecomunicazioni.
Seimila gli addetti nel settore spazio in Italia, che fanno capo per la maggior parte alle imprese già citate, ma anche ad altre aziende. Come la Elv (partecipata da Avio e Asi), che si occupa del lanciatore Vega, e la Argotec, società torinese del cibo in orbita, nota per la macchina per fare l’espresso italiano nella stazione spaziale. Non si pensi che sia facile fare l’espresso in orbita, dove non c’è gravità. E non è neanche facile berlo, ma un buon caffè un sacrificio lo merita.