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 2016  maggio 24 Martedì calendario

La televisione ha ucciso la favola del Giro d’Italia?

È la tecnica che uccide le favole? La domanda si ripropone ogni volta che c’è il Giro d’Italia. Il primo tappone dolomitico e la cronoscalata all’Alpe di Siusi hanno posto il problema di sempre: la facilità con cui la tv mostra i corridori riesce a esprimere l’immane fatica che compiono? Come raccontare la giornata storta di Nibali?
Il primo a porsi questo fondamentale quesito è stato Montanelli. Nel libro Indro al Giro – Viaggio nell’Italia di Coppi e Bartali. Cronache dal 1947 al 1948 (edito dal Corriere della Sera), il grande giornalista descrive il «radiofurgone», un automezzo all’avanguardia che il Corriere gli mette a disposizione per l’invio immediato del «resoconto» e delle fotografie: «C’era la “radiotrasmittente telefonica”, la cabina per lo sviluppo delle fotografie e il loro invio a mezzo di “valigia telefoto”; e c’era infine “l’apparecchio perforatore di zona” per il lancio di messaggi in alfabeto Morse. Come funzionasse tutto questo complicato e perfettissimo imbroglio non lo so, e mi sono costantemente rifiutato di farmelo spiegare».
Indro chiama la tecnologia «imbroglio» (lo farà anche dopo, all’apparire della posta elettronica e di tutte le «diavolerie» di Internet), ma capisce che è cambiata un’epoca. C’è la radio, c’è il «radiofurgone», ci sono le fotografie e il giornalista non può più giocare di fantasia, creare un’epica del ciclismo legata alle sue reinvenzioni. Più si accorcia la distanza tra la corsa e la cronaca della medesima, più si restringe la spazio della «favola». Indro può ancora permettersi allusioni politiche (la strategia «degasperiana» di Bartali, il Giro «saragatiano»” del 1948 o il gregario anarchico Menon che rompe la rigida tattica di squadra…), ma il racconto leggendario deve lasciare spazio al reportage, lo spreco di metafore e di citazioni mitologiche alla nuda realtà. Già, ma in tv, come raccontare la caduta di Nibali? È sufficiente quello che vediamo?