la Repubblica, 24 maggio 2016
Nell’Anpi solo uno su venti ha combattuto durante la Resistenza
Nel linguaggio interno, tutte le associazioni ne hanno costruito uno, si dividono in «partigiani» e «antifascisti». Una divisione che serve a distinguere chi ha combattuto davvero durante la Resistenza, i «partigiani», da chi ha aderito successivamente all’Anpi, i semplici «antifascisti». Una divisione opinabile perché è evidente che tutti i partigiani sono antifascisti. Una distinzione comunque più raffinata di quella tra «veri» e «finti» su cui si è scatenata la polemica negli ultimi giorni.
Il tesseramento del 2015 dice che all’associazione aderiscono 124 mila persone in tutta Italia. E che di queste 5.000 sono «partigiani» e poco meno di 120 mila sono semplici «antifascisti». Il rapporto numerico tra chi ha combattuto nella lotta di Liberazione e chi è arrivato dopo è di uno a venti. Inevitabile: chi nel 1943 aveva vent’anni per salire sulle montagne oggi ne ha 93. Chi ha imbracciato il fucile giovanissimo ne ha almeno 90.
«Nel 2006 – ricorda Carlo Smuraglia, fino a pochi giorni fa presidente nazionale – abbiamo fatto una scelta precisa. Fino a quel momento potevano aderire all’Anpi solo combattenti e deportati. Dieci anni fa abbiamo deciso di accogliere antifascisti che si riconoscessero nei valori dell’associazione e che naturalmente ne sottoscrivessero lo statuto». L’apertura alle giovani generazioni «è servita per dare continuità alla nostra battaglia che, altrimenti, l’anagrafe si sarebbe incaricata di far cessare».
La scelta non ha creato particolari problemi per dieci anni. Ci sono stati, è vero, due casi in cui le new entry hanno fanno nascere rischi di strumentalizzazione: in val di Susa dove una parte dei No Tav si è iscritta all’Anpi, e a Roma dove si sono creati attriti tra circoli Anpi filopalestinesi e la Brigata ebraica. «Ma in tutti e due i casi, peraltro molto diversi tra loro, abbiamo lavorato per evitare strumentalizzazioni», dice Smuraglia. «A Torino ho partecipato personalmente al congresso per dire che non si può pretendere che l’Anpi si schieri su un tema come la Tav. A Roma abbiamo lavorato fino all’ultimo per evitare la frattura al corteo del 25 aprile. Avevamo proposto che si partecipasse senza bandiere, né palestinesi né israeliane. Non siamo riusciti ad ottenere la reciproca fiducia ma ritenteremo».
Tutto il quadro si è mosso negli ultimi anni. Dal 2011 a oggi gli iscritti sono aumentati mediamente di 5.000 all’anno e nel 2015 c’è stato un vero boom: 9.405 nuovi tesserati. Di questi 3.044 sono tessere ad honorem, date a parenti dei partigiani ormai deceduti. Altre 809 sono tessere date agli studenti «amici dell’Anpi». Ma oltre 5.000 sono i cittadini italiani che hanno scelto di aderire all’associazione per decisione politica. «Probabilmente – dicono alla sede nazionale hanno giocato due fattori distinti: l’aumento delle manifestazioni di tipo neofascista, che ha spinto molti italiani ad una reazione. E la battaglia contro la proposta di modifica della Costituzione che l’Anpi ha iniziato al cinema Eliseo di Roma nel 2014». Di queste nuove adesioni gran parte vengono dal centro nord, dalle regioni dove storicamente la Resistenza era più attiva. Quasi inevitabile il pronunciamento dell’Anpi sul referendum costituzionale: «C’è scritto nel nostro statuto sottolinea Smuraglia – che l’Anpi difende non solo la lettera ma lo spirito della Costituzione. Ci siamo consultati per tutto un congresso». E vi siete spaccati. «Ma quale spaccatura? A larghissima maggioranza è prevalsa la linea di sostenere i comitati per il No. 343 favorevoli e 3 astenuti non la definirei una spaccatura». Però i dissidenti li trattate come il Pci, con il centralismo democratico per cui chi è contrario deve tacere. «Non è così. Il centralismo democratico era un’altra cosa. Chiunque può esprimere il suo punto di vista. Ma è chiaro che un dirigente che fonda i comitati per il sì dopo che l’associazione si è espressa per il no non può farlo. Che cosa facciamo? Dirigenti contro in due banchetti contrapposti? Non sarebbe serio». Vi sentite nel mirino del governo? «Non direi del governo. Di qualche forza politica forse. Qualcuno che ha cominciato a offenderci pesantemente. Ma noi cerchiamo di rimanere fuori dalle battaglie di partito, non ci competono». Niente nemici dunque? «Quelli li combattevo quando ero giovane. Adesso ho superato i 92 anni».