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 2016  maggio 24 Martedì calendario

Ancora sui test Invalsi: servono o no?

Caro Augias, ancora una volta il tormentone delle prove Invalsi, viste come temibili impegni volti a svilire il lavoro di discenti e docenti. Invece possono fornire indicazioni utili: denigrarle equivale a prendersela con il termometro che segnala la febbre. In ogni caso, non tolgono valore a un autentico lavoro formativo ed educativo. Non so se anche quest’anno ci si è trovati davanti ai malinconici risultati del passato. Passano i decenni e si susseguono le riforme, con scuole chiuse il pomeriggio, salvo doposcuola a pagamento organizzati da Comuni e parrocchie, docenti vaganti tra sedi incerte, propositi di offrire agli studenti tutto lo scibile e il fattibile ma con orari immutati o addirittura ridotti, condizioni di lavoro difficili, contratti di lavoro chimerici.Nella legge di riforma detta della “buona scuola”, accanto alla miriade di ottime intenzioni appare per diciassette volte la litania “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, una barriera che a me pare ostacoli veri e profondi miglioramenti oltre a creare una selezione foriera di rancori e disistima tra gli insegnanti meritevoli.Franco Parmiggiani – fraparmi@libero.it
Per rispondere in maniera appropriata su un tema complesso come le prove Invalsi ho sentito la presidente dell’ente che le elabora e analizza: Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione, che, in acronimo, dà appunto Invalsi. Si tratta di prove internazionali uniformi, dunque nella misura del possibile “oggettive”, che misurano i livelli di apprendimento nelle varie scuole. Poiché scuole e singoli studenti operano in condizioni diverse (l’Italia tra l’altro è molto lunga), ci sono appositi questionari che calibrano queste diversità. Per esempio: parametrare le medie condizioni logistiche, ambientali, familiari degli studenti di Trento con quelle esistenti a Caltanissetta. Ho chiesto dunque alla professoressa Anna Maria Ajello, presidente Invalsi, un giudizio sulle prove appena terminate. Tento di riassumere la sua risposta: l’anno scorso s’era registrata una cospicua percentuale di ostilità, effetto soprattutto dell’opposizione al governo. Quest’anno il boicottaggio è drasticamente ridotto. Si sono registrate ovunque adesioni largamente superiori al 90 per cento. C’è qui una prima ragione di fiducia; un’altra è che si va estendendo la persuasione dell’utilità di queste prove per cui si è anche ridotta la percentuale degli insegnanti che le sottovalutano assentandosi o lasciando copiare gli alunni. Ha contribuito ad una maggiore serenità anche il fatto che, finito il processo, ogni istituto riceve i dati propri e quelli di altre duecento scuole che operano in condizioni analoghe, il che permette un confronto, possibili adeguamenti nonché l’ottenimento di contributi contro la dispersione scolastica per chi ha maggiori difficoltà. Resta tra gli insegnanti, anche molto preparati, una frangia di oppositori di matrice ideologica riassumibile nello slogan “Non ci lasciamo valutare”. Per contro ci sono, per esempio a Vittoria in Sicilia, collettivi di insegnanti che usano normalmente i dati come efficace mezzo di miglioramento.