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 2016  maggio 24 Martedì calendario

Storia di Armando Izzo, da Scampia alla Nazionale sempre con l’ombra della camorra

Fulvio Bufi per il Corriere della Sera
In un posto come Scampia una piazza di spaccio e un campetto di calcio può capitare anche che stiano attaccati, e per un ragazzino nato e cresciuto in quelle strade scegliere una o l’altro può essere solo casuale. Non lo era stato, però, per Armando Izzo. Lui per la piazza di spaccio, se c’è passato, c’è passato a largo, senza fermarsi, senza nemmeno rallentare. Diretto al campo in compagnia del papà che non lo ha potuto vedere calciatore perché la leucemia lo ha ucciso quando il figlio aveva 14 anni, ma che in quel ragazzo aveva visto un talento destinato a portarlo lontano da Scampia. E aveva visto giusto.
E però Scampia è un posto che non perdona. E lo è il Rione dei Fiori di Secondigliano, quello che chiamano il Terzo mondo, lo è via Vanella Grassi, che sarebbe una strada e basta, ma adesso è il nome di un clan. Storpiato, con Vanella che diventa Vinella, ma insomma non è più una minuscola traversa di un quartiere di periferia che una volta la conosceva solo chi ci abitava. Armando la conosceva, e conosceva i ragazzi che da quella stradina sono partiti per andare cinquecento metri più in là a fare i morti, come dicono quelli che combattono una guerra per la droga. Un collaboratore di giustizia racconta che quando aveva 15 o 16 anni Izzo voleva diventare uno di loro. Il 27 luglio del 2015, Antonio Accurso, fratello del boss più potente della Vinella (Umberto, arrestato meno di due settimane fa) dichiara: «Nel periodo 2007-2009, Izzo Armando non voleva più giocare a pallone e voleva affiliarsi con noi della Vinella Grassi, ma noi ritenemmo importante per lui che giocasse a pallone». Un altro collaboratore, Mario Pacciarelli, conferma: «Voleva diventare un affiliato della Vinella Grassi». Aveva un cugino nel clan, Gaetano Petriccione, e «voleva fare “il suo ragazzo”, affiancarlo in attività criminali». Ma dal carcere il capoclan Armando Petriccione, padre di Gaetano e zio acquisito di Armando, non diede il benestare: «Fece giungere al figlio un’ambasciata, dicendo che Armando, avendo un talento come calciatore, doveva seguire quella vocazione, come avrebbe voluto il padre».
E Armando continua a giocare. Dall’Arci Scampia alle giovanili del Napoli, che paga il suo cartellino 5 mila euro e alla vigilia della stagione 2011-2012 lo porta al ritiro precampionato a Dimaro con la prima squadra. Izzo non ha nemmeno le scarpette, gliele compra pagando di tasca sua l’allenatore Walter Mazzarri. Il capitano Paolo Cannavaro lo prende a ben volere, e pure gli altri compagni. E quando lui si trova ad aspettare un figlio imprevisto dalla sua fidanzata (il loro è un amore contrastato dal padre di lei, e secondo un pentito anche dai clan del Rione Sanità, dove abita la ragazza) nello spogliatoio organizzano una colletta per aiutarlo. Lui in campo mostra di essere bravo: difensore moderno, completo. Però deve crescere. Il Napoli lo manda in prestito alla Triestina, poi si fa avanti l’Avellino che ne acquisisce la comproprietà. Negli anni con la maglia biancoverde degli irpini il giocatore, secondo l’inchiesta della Dda, si mette al servizio dei suoi vecchi amici della Vinella Grassi. All’epoca non se ne sa ancora nulla, il nome di Izzo attrae osservatori di più di un club importante, eppure quando arriva il momento di investire qualche soldo per riprenderselo, il Napoli lo molla, lo perde per 400 mila euro, praticamente niente. Arriva invece il Genoa, che lo porta in serie A e alla fine arriva anche la convocazione a Coverciano. È storia di oggi: Izzo entra nei 30 chiamati da Conte per lo stage alla vigilia degli Europei. Sa che non andrà in Francia ma essere lì, pure se non ci sono Bonucci e Chiellini, è un sogno. Poi la Procura antimafia di Napoli lo sveglia. «Sono vicende a me estranee — dice Izzo —. Sono un calciatore e non ho mai pensato di truccare una partita. Nelle due gare sotto accusa non ho neanche giocato».

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Dario Del Porto per la Repubblica
«È un’emozione unica, mi ritrovo qui dopo tanto sudore», aveva detto Armando Izzo ai cronisti che lo avevano intervistatato a Coverciano. Da Scampia alla Nazionale: sembrava una favola, quella del talentuoso calciatore napoletano. Ma dopo aver sognato la maglia azzurra, Izzo deve fare i conti con l’incubo di Gomorra. Le rivelazioni del pentito Antonio Accurso lo dipingono come un atleta «a disposizione» della camorra per truccare partite. Frasi che proiettano un’ombra su uno dei più promettenti difensori italiani, 24 anni, da tutti considerato un professionista serio, oltre che un atleta di livello, destinato ad un grande futuro.
Orfano di padre, Armando tira i primi calci nell’Arci Scampia. Lo sport lo tiene lontano dalle insidie del quartiere dove un parente per parte di madre, Salvatore Petriccione, è un nome di spicco del clan della Vinella Grassi. Eppure, all’età di 14 anni, Izzo pensa di lasciare il calcio. Anche questo episodio viene ricostruito dal pentito: «Non voleva più giocare e voleva affiliarsi con noi, ma ritenemmo importante per lui che giocasse a pallone», sostiene Accurso. Un altro collaboratore di giustizia, Mario Pacciarelli, aggiunge che lo zio del giovane, Salvatore Petriccione «fece giungere un’ambasciata dal carcere, dicendo che Armando aveva un talento come giocatore di calcio e doveva seguire questa vocazione».
Izzo segue la trafila nelle giovanili del Napoli e, nel 2010, va in ritiro con la prima squadra. Non ha neppure i soldi per pagarsi le scarpette da ginnastica, gliele regala l’allenatore Mazzarri. Il capitano Paolo Cannavaro organizza una colletta nello spogliatoio quando nasce la prima figlia. Ma Armando è in gamba e brucia le tappe: prima la Triestina, poi l’Avellino in B, quindi la serie A con il Genoa. «Già quando giocava nella Triestina ci fu un abbozzo di combine», afferma Accurso. Allora Izzo era un ragazzino e non se ne fece nulla. Ma quando torna nel quartiere, incontra spesso Accurso. «Ogni volta – dice il pentito – gli lanciavo la proposta di vedere se potevamo combinare qualcosa, anche se non gli mettevo pressione». Ciò nonostante, aggiunge il collaboratore, «io e mio fratello, per fargli capire che eravamo disponibili, gli regalammo un orologio Rolex». Secondo il pentito, Izzo aveva sempre schivato quelle «pressioni gentili» spiegando «di non avere peso nello spogliatoio dell’Avellino». 
 Questo almeno fino alla primavera del 2014, quando si sarebbe verificato il contatto sfociato nella presunta combine. Contro il Modena, Izzo non giocò perché infortunato e la frode ipotizzata per questa partita non gli viene contestata dai pm per mancanza di riscontri. Secondo Accurso, però, dopo la gara ci fu la spartizione dei soldi. Il pentito sostiene di aver saputo proprio da Izzo che, dei 30 mila euro messi a disposizione dal clan, 6 mila andarono a Izzo. Il difensore però si sarebbe lamentato: «Disse che la prossima volta avremmo dovuto dare a lui la quota che gli spettava». In serata, arriva la replica di Izzo: «Sono un calciatore e non ho mai neanche pensato di truccare una partita. Voglio solo precisare che nelle due partite di cui parlano ero infortunato e non ho giocato. Ho piena fiducia nella magistratura e sono sicuro di riuscire a chiarire la mia posizione».