La Gazzetta dello Sport, 21 maggio 2016
Coppi, Bartali e Hemingway: storie di pedalate sulle Dolomiti
Mür dl Giat. Muro del Gatto in ladino. Il tappone dolomitico si decide lì. Dopo 300 metri al 13%, su un tratto al 19%, Caronte aspetta e, con la sua coda squamosa, separerà i dannati dagli eletti. Le Dolomiti sono ad un tempo Inferno e Paradiso.
GIARDINO Nacquero come giardino roccioso di Dio. L’ottavo giorno della creazione, dopo il riposo, Dio lo progettò. Chiamò i coralli e disse loro: fatemi rocce belle come cattedrali. I coralli costruirono scogliere. Poi Dio le fece emergere e le scolpì con i ruscelli, il gelo, il vento. Le collaudò con i vulcani e i terremoti. Le seminò di aquilegie e nontiscordardime, genziane e botton d’oro, e crochi e soldanelle. Poi ci mise i Silvani, i nani che filano i raggi del Luna, e le Fate, che colorano le rocce con l’enrosadira e ci soffiò la vita. Con l’ultimo soffio portò i ciclisti.
SCIAME Il Giro arrivò come un chiassoso sciame. Apparve per la prima volta il 27 maggio 1937. Si correva la 19a tappa Vittorio Veneto-Merano e Bartali, in maglia rosa, attaccò sul Rolle, scollinò solo, scese in picchiata su Predazzo, risalì la Val di Fassa, scalò il Costalunga. Dopo un assolo di 108 km vinse con 5’38” sui primi avversari. Fu il primo Re delle Dolomiti. Tre anni dopo, passando primo su Falzarego, Pordoi e Sella e pilotando Fausto Coppi alla vittoria, ribadì il suo rango.
Nel dopoguerra, però, sulle Dolomiti, Coppi regalò una serie di gemme stupende. Una collana che non ha eguali. Sei voli prodigiosi. Sei assolo scolpiti nella storia. Uno di 153 km nella Auronzo-Bassano del 1946, uno di 150 nella Pieve di Cadore-Trento, che lo portò alla vittoria finale nel 1947, due nel ‘48 – di 60 e 148 km – nell’anno del ritiro polemico, uno di 95 km nel 1949 per il Pordoi e per due passi nuovi, Campolongo e Gardena, chiuso a Bolzano con 6’58” di vantaggio; l’ultimo da 80 km, per Pordoi e Sella, nel 1952, lo portò a Bolzano 5’20” prima di Bartali e Magni.
NUVOLE Bartali e Coppi lanciarono le Dolomiti nell’epos. Erano già nella storia dell’alpinismo. Preuss e Winkler, Tita Piaz e Vinatzer, Comici e Cassin avevano disegnato arabeschi su quelle meravigliose pareti. Buzzati le amava e si chiedeva: «Sono pietre o sono nuvole? Sono vere oppure è un sogno?». Da ragazzo davanti alla Schiara sfidava in bicicletta il fratello Augusto. Quando dipinse il Duomo di Milano, lo immaginò come una serie di guglie dolomitiche. Qui Pasolini pedalava verso il Cadore. Fermi, invece, risaliva la Val Gardena e portava sul Sella i fisici della Scuola di Roma. Hemingway, che pure girava in bicicletta a Fossalta, preferiva la Buick azzurra per raggiungere Cortina, così portava con sé la riserva di Gordon Gin e la quarta moglie.
COLORE Le Dolomiti hanno educato al colore Tiziano, che le dipinse negli sfondi dei suoi quadri. Hanno eccitato la fantasia dei corridori. Taccone nel 1963 passò primo su sei colli e s’impose a Moena. La più grande prestazione di Merckx in montagna fu sulle Tre Cime di Lavaredo nel 1968. Fuente inaugurò nel 1973 il Giau, che oggi è la salita più dura.
Nel 1984 nel giro del Sella Fignon spodestò Moser, che due giorni dopo riconquistò la maglia rosa all’Arena. Sulle Dolomiti il 2 giugno 1998 Pantani partì con Guerini sulla Marmolada e, dopo 48 chilometri di fuga, conquistò la prima maglia rosa. Divenne il nuovo Re. Ma il suo regno presto evaporò.
Anche la fiaba di Cunego, nel 2004, sbocciò nella tappa del passo di Valparola, che si affronta oggi. «Le montagne non si lasciano ingannare», scrive Buzzati: incombono come le Moire. E sono sei – Pordoi, Sella, Gardena, Campolongo, Giau, Valparola – prima del Mür dl Giat, l’ultimo pugnale, e di Caronte.