Libero, 22 maggio 2016
I campi profughi diventano bordelli, gli schiavisti papponi e le rifugiate prostitute
Per mesi ci siamo preoccupati che il mercato del lavoro europeo non riuscisse ad assorbire le frotte di immigrati in arrivo. Ora possiamo tranquillizzarci. A quanto pare, gli stranieri hanno parecchie più risorse di quelle che pensavamo: molti di loro, infatti, hanno immediatamente trovato un’occupazione. E nemmeno l’hanno rubata agli europei, come i vari populisti destrorsi del Vecchio Continente suggeriscono da tempo. Tutt’altro: i nuovi posti di lavoro sono stati creati direttamente all’interno dei campi profughi, dove è emersa con prepotenza una figura professionale di successo: il pappone.
Sì, avete capito bene: il gestore di bordello, il protettore di prostitute. In altri termini: lo schiavista. Fra i poveri disperati in arrivo sulle coste dell’Italia e della Grecia, infatti, c’è anche qualcuno (o molti) che è un po’ meno disperato degli altri. Anzi, qualcuno che approfitta dell’accoglienza offerta dall’Europa – a spese dei contribuenti comunitari – per arricchirsi sulla pelle delle donne, delle bambine e dei bambini che vivono nelle tendopoli e nelle altre strutture.
Le denunce in questi mesi sono arrivate da più parti, l’ultima da Idomeni, in terra ellenica. Lì, nell’inferno sottoforma di campo profughi, vivono circa novemila persone. A differenza di quel che ci viene raccontato dagli attivisti e dai politici di buon cuore, non si tratta sempre di vittime in fuga dalla guerra e dalla carestia. No: a Idomeni la polizia sta lavorando per sgominare gang di marocchini e iracheni che gestiscono bordelli improvvisati tra le baracche. Le autorità si sono attivate dopo diverse segnalazioni giunte dai giornalisti inviati sul posto. A quanto risulta, i membri delle gang avvicinano in particolare le donne sole e offrono protezione. In cambio, le poverette sono costrette a prostituirsi per una cifra che si aggira attorno ai cinque euro. Una tariffa decisamente low cost, che tiene conto della disponibilità economica dei residenti. Per facilitare la vita a chi intende recarsi nel lupanare, sono stati posizionati in giro cartelli con scritte in arabo che segnalano la «via delle rose». Volete sentire il profumo dei fiorellini? Seguite la strada.
Nikitas Kanakis della ong Médecins du Monde ha fornito al quotidiano online International Business Times un quadro piuttosto chiaro della situazione. Secondo lui, è «ovvio» che nei campi profughi si sviluppi un racket di questo genere. «Idomeni assomiglia sempre più alla Giungla di Calais», ha detto Kanakis. «E più le autorità si rifiuteranno di ripulire quest’area, più sarà facile che i disperati intrappolati qui non abbiano altra scelta che dedicarsi ad attività illegali».
Il ragionamento è logico. Se continuiamo a imbarcare migliaia e migliaia di persone che non sappiamo dove mettere e come occupare, è chiaro che sarà la criminalità organizzata a banchettare. E a farne le spese saranno prima di tutto i più deboli. Le donne sole, e persino i bambini. Il timore, infatti, è che a Idomeni si verifichino anche abusi su minori. Non sarebbe una novità, dopo tutto. Qualche mese fa, quattro associazioni tedesche che si occupano di difendere i diritti delle donne hanno denunciato quel che accade nel campo profughi di Giessen, dove sono accolte oltre cinquemila persone. In una lettera inviata al ministro dell’Integrazione, le associazioni femminili hanno scritto: «È un fatto che le donne e i bambini non siano protetti. (...) Di conseguenza, ci giunge notizia di numerosi stupri, aggressioni sessuali e, in maniera crescente, casi di prostituzione forzata. Non si tratta di incidenti isolati». La polizia non ha potuto che confermare, come riportato dal quotidiano britannico Daily Mail. Anche nel campo tedesco, le prime vittime sono state le donne sole e persino i più piccoli. Vi stupisce? Benvenuti nel lato oscuro dell’immigrazione.
E non pensiate che il nostro Paese sia al riparo da aberrazioni di questo genere. A settembre, numerose inchieste di La7 e di vari quotidiani e settimanali hanno raccontato quel che accadeva dentro al famigerato Cara di Mineo, il gigantesco centro di accoglienza da cui gli immigrati entravano e uscivano a piacimento. Oltre ai numerosi richiedenti asilo che si mettevano nelle mani dei caporali per lavorare in nero, si è creato anche un giro di prostituzione del tutto simile a quello descritto a Idomeni. Parlando con gli inviati del programma L’aria che tira, alcune immigrate hanno raccontato di essere schiave sessuali, obbligate a vendersi per ripagare il costo del viaggio che le ha portate in Europa. Bisogna allora prendere atto che ovunque – da Calais a Idomeni, da Mineo a Giessen – sorga uno di questi abomini dell’accoglienza, ne derivano incassi per la criminalità organizzata e sfruttamento di esseri umani. Il fatto che tali strutture ci costino (a noi e agli altri europei) una marea di soldi, è soltanto la ciliegina sullo schifo.
L’idea che, con i famosi trentacinque euro al giorno forniti dalla collettività, qualcuno si paghi anche il sollazzo, è ripugnante. Ma è una delle tante conseguenze di questo assurdo sistema di accoglienza. Gli stranieri continuano ad arrivare, e i flussi non accennano a diminuire, semmai si ingrossano. Tradotto: la situazione peggiorerà. E, finora, l’Europa non ha trovato alcun rimedio utile.
I trasferimenti dalla Grecia e dall’Italia verso i Paesi del Nord non funzionano. Soprattutto, i controlli sono estremamente difficoltosi e distinguere i criminali dai bisognosi è quasi impossibile.
Certo, un rimedio ci sarebbe. Invece di alimentare il sistema dell’accoglienza con una marea di denaro, bisognerebbe scardinarlo completamente, e smetterla una volta per tutte di farsi guidare dall’ideologia imposta da Bruxelles. Per il bene nostro, e pure delle donne e dei bambini abusati nei campi profughi in nome della solidarietà.