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 2016  maggio 22 Domenica calendario

Un poltrona per ricordare Chanel

«Io non ho mai disegnato un vestito» ripeteva. «Uso la matita solo per tingermi gli occhi e scrivere lettere. Scolpisco il modello, più che disegnarlo. Prendo la stoffa e taglio. Poi la appiccico con gli spilli su un manichino e, se va, qualcuno la cuce. Se non va la scucio e poi la ritaglio. Se non va ancora la butto via e ricomincio da capo… In tutta sincerità non so nemmeno cucire». Le suore del Sacro Cuore dell’Orfanotrofio di Aubazine, dove trascorse l’infanzia, le trasmettono l’amore per il bianco, il nero e l’austerità. «Il nero contiene tutto» diceva la stilista. «Anche il bianco. Bianco e nero sono d’una bellezza assoluta. Sono l’accordo perfetto». 
A Parigi aveva debuttato ufficialmente nel 1910, aprendo il suo atelier di modista al numero 21 di Rue Cambon. Era stato Boy/Arthur Capel – il ricco amante del momento – a favorirla nell’impresa. Ma prima e dopo di lui altri uomini potenti la sosterranno nella scalata al successo; tutti celebri quanto i suoi modelli, anche perché dai primi traeva ispirazione per i secondi. 
Dal 1904 al 1910, ad esempio, Gabriel Chanel detta Coco (1883-1971) si ritrova a passare intere giornate nelle stalle del Castello di Royallieu, con i purosangue del suo amante Etienne de Balsan, erede di una dinastia di industriali del tessile, appassionato di cavalli. Impara a montarli, desta l’ammirazione di tutti e, ispirandosi alla divisa dei fantini, crea pantaloni da cavallerizza, cravattine lavorate a maglia e cappellini di paglia, assai minimalisti per il gusto Belle Epoque. Poi arrivano il granduca Dimitri Romanov e il duca di Westminster. Dal loro mondo Coco assorbe molto, traendo i termini di una eleganza un po’ mascolina: jersey, tweed, bottoni e bordure da uniforme, giacche di cardigan senza collo. Nel 1917, in piena guerra, la Chanel Modes conta tre boutique (Parigi, Deauville, Biarritz), cinque laboratori e 300 lavoranti, 60 delle quali sono sarte impegnate a confezionare abiti per ricche spagnole (la Spagna era rimasta neutrale al conflitto mondiale).
A introdurre Chanel nel mondo dell’arte simbolista e surrealista del dopoguerra è una donna, la pianista russa Misia Sert, che la presenta agli intellettuali più in voga nella Parigi degli anni Venti: Stéphane Mallarmé e Marcel Proust, poi Erik Satie e Colette, insegnandole anche a fare uso massiccio di Sédol, un ipnotico a base di morfina. A quel tempo Coco va a caccia di oggetti straordinari di cui ama circondarsi: cristalli di rocca, i Coromandel con uccellini e fiori di camelie, specchi e vassoi. «Sono quasi svenuta di gioia quando, entrando in un negozio cinese, vidi per la prima volta un Coromandel – dirà –, i paraventi furono il mio primo acquisto». Amica di Serge Diaghilev, Serge Lifar, Philippe Berthelot, frequenta lo scrittore Paul Morand, il pittore Pablo Picasso, i poeti e letterati Jean Cocteau e Max Jacob e nel 1921 ha una breve relazione con il compositore Igor Stravinsky. Nel 1922 debutta come costumista, disegnando per l’Antigone di Cocteau, e ancora per lui, nel 1924, realizza gli abiti del balletto Le Train Bleu
In controtendenza rispetto ai suoi rivali – Grès, Vionet, Lanvin, Elsa Schiapparelli – Chanel comprende il più importante concetto della modernità e del design: non puntare solo su un pubblico esclusivo, ma tendere alla conquista di quello di massa. E, attraverso la rivisitazione di abiti maschili, immagina una donna singolarmente femminile. Nel 1926, con un radicalismo simile a quello di Le Corbusier, Gabriel spazza via volant e rouche e crea la divisa da sera per la donna moderna: un sobrio tubino nero in crêpe-de-Chine che «Vogue America» battezza subito «la Ford di Chanel» per la linea semplice ed essenziale; è una sorta di democratizzazione dell’abito da sera. Così, mentre la Schiapparelli si ispira all’arte visionaria dei surrealisti dando vita a una femme fatale in grado di stupire sempre (celeberrimo il suo rosa shocking), Coco punta sull’eleganza disinvolta della donna moderna. 
L’occasione per ricordare il suo gusto intramontabile è un’asta di 52 selezionatissimi oggetti di design art déco che Christie’s Parigi (9, Avenue Matignon; www.christies.com) organizza mercoledì 25 maggio alle ore 18. Tra i lotti ci sono due poltrone in bronzo patinato aux pommeaux de canne, disegnate da Diego Giacometti (1902-1985) nel 1963 e stimate in coppia 120mila-180mila €. Le aveva acquistate Coco per la sua casa di Spatz, sul Lago di Losanna dove – sfollata in tempo di guerra – aveva deciso di cambiare vita. Amica dei fratelli Giacometti, custodiva anche il calco della sua mano fuso in bronzo per lei dal più celebre Alberto (1901-1966). Donerà le due poltrone a un medico svizzero, riconoscente per le cure sanitarie ricevute nella clinica di Valmont. 
Sembrava avviata a una vecchiaia tranquilla e invece, a 71 anni, tornò a trionfare, prima in America, poi di nuovo in Europa. Perché la moda passa, ma il suo stile rimane.