Corriere della Sera, 22 maggio 2016
Federica Pellegrini è la regina nei 200 stile libero, «ma non wonder woman»
Sfilando con la milionesima medaglia d’oro di una carriera leggendaria, Federica dice a noi che la esaltiamo: «Sì, però non sono mica wonder woman...». Sicura? Questi 200 stile non sapeva se farli, la condizione era appannata dalle fatiche per Rio, la 4x200 le aveva lasciato una fastidiosa amarezza. Ma la regina, si sa, quando annusa profumo di battaglia si trasforma. L’avvio è stato più cauto del solito, il passaggio a 57”10 lento, e ai 150 erano 54 i centesimi dall’olandese Heemskerk e 16 quelli dalla francese Bonnet. «Ora chiudo gli occhi e ci provo», si è detta. Stavolta però la risalita sembrava più ardua che mai e, se la Charlotte cedeva, la Orange pareva tenere. I metri passavano, la parete si avvicinava: vuoi vedere che oggi la corrente batte il salmone? E invece no, uomini di poca fede: ai 190 metri la Pellegrini piazza il colpo decisivo. La povera Femke, come sempre, si affloscia. Federica, come sempre, vince.
«Sapevo che sarebbe stata una battaglia – ha raccontato poi —. Vedevo lei con la coda dell’occhio perché respiravo dall’altra parte e solo quando ho visto il tabellone ho capito che era andata bene». È la sua quarta medaglia di Londra 2016 dopo tre argenti in staffetta ed è ufficialmente il suo quarto titolo europeo nei 200 stile. Ufficialmente, perché la regina si annette anche il quinto di Eindhoven 2008, quando venne squalificata per un movimento sul blocco. «Mi fecero una schifezza» dice oggi, e il fatto che quella storia le faccia ancora male spiega bene perché a 27 anni è sempre qui a dominare. «A me perdere rode. La delusione in staffetta mi ha tirato fuori una cattiveria in più. Anche se non è facile se non sei al top e dopo cinque giorni di gare».
Fede che fiorisce in battaglia lascia vittime che non si ripiglieranno mai più. La Heemskerk è ritornata anche stavolta piangendo da Philippe Lucas – l’ex tecnico verso il quale la Pellegrini non nutre «alcun rancore» – ma forse avrebbe più bisogno di un’analista. «Mi spiace – abbozza la regina – siamo anche amiche, ma poi è ovvio che in acqua diventiamo avversarie...». Forse ha fatto meglio la svedese Sjöström che anche stavolta ha rimandato il confronto a chissà quando. Succede se l’aura del fuoriclasse ti stronca prima ancora di salire sul blocco: «Un po’ di strizza ce l’avevo anch’io con la Manaudou nei 400 sl – ammette Federica —. Ma nei 200 sl mai. Perché è la mia gara». Che sarà pure quella con cui ci farà sognare ai Giochi prima di chiudere, forse, con il nuoto. Là, è chiaro, servirà andare più forte, ma quanto? «Se farò 1’54’’» lo vedremo a Rio, qui era importante stare sotto l’1’56” e avere buone sensazioni. Le ho avute: ho capito che il lavoro con Matteo Giunta è ben delineato. E visto che in questa piscina avevo fatto schifo ai Giochi 2012, posso anche dire di avere cancellato definitivamente quel ricordo». Ora c’è solo futuro. Ma con calma. «Io portabandiera d’oro? D’oro qui. Per l’Olimpiade meglio non dire niente...».