il Fatto Quotidiano, 22 maggio 2016
Il Venezuela è uno stato fallito. Maduro al capolinea
Comincia una settimana forse fatale per il Venezuela. Caos istituzionale. L’opposizione guidata dal governatore Henrique Capriles (maggioranza in Parlamento) pretende il referendum per far decidere alla gente chi deve governare. Confida nella disperazione che ogni giorno impoverisce piccola e media borghesia, soprattutto i barrios del “popolo di Chavez”, sconsolati da chi ne ha preso il posto.
Va sempre peggio e nelle elezioni di sei mesi fa le migrazioni da un partito all’altro hanno deciso il trionfo parlamentare del liberismo di Capriles. Promesse e sussidi non riempiono i piatti vuoti. Maduro scade fra due anni, “impossibile sopravvivere così”, pressione di chi contesta il governo e moltiplica i consensi.
Per galleggiare il presidente gira il referendum ai suoi nominati della Corte costituzionale dove i tempi si allargano: sentenza forse a ottobre. Ma ottobre è tremendamente lontano per un paese in agonia. Intanto viene respinto lo stato d’emergenza preteso da Maduro per avere mani libere nel paese che precipita nell’inflazione: 180 per cento. Avverte il Fondo Monetario: fra 4 mesi scavalcherà i 700 punti. Viveri razionati, saracinesche chiuse. Un bambino su tre non va a scuola. Allunga la mano nelle strade per aiutare a sfamare la famiglia.
Medicinali come pepite d’oro. Ospedali alle corde. Elettricità razionata nel quinto paese produttore di petrolio. Sul mercato vale meno di un terzo degli anni opulenti quando Chavez faraone pagava al Fmi i debiti di Argentina, Brasile e paesini dei Caraibi. Adesso cronache del disfacimento: capitali in fuga, nessuna speranza di riavvicinare la normalità. Sta svanendo la supervisione anti naufragio dell’Avana impegnata nelle trasformazioni del dopo Raul Castro. Il petrolio arriva da altre sponde e il fratello del grande fratello naviga a vista nelle acque agitate delle diplomazie diffidenti con Caracas.
Comincia la settimana o il mese fatale con dubbi e numeri incrociati e mediazioni internazionali complicate da Brasile e Argentina che hanno cambiato bandiera. Alleati perduti mentre la Washington di Obama in apparenza sta a guardare. Il prossimo presidente deciderà ciò che è già stato deciso.
E il chavismo grossolano di Maduro viene ruvidamente abbandonato dall’Organizzazione degli Stati americani. Disprezzo di Luis Almagro, presidente dell’Oea, avvocato colombiano: non sopporta le chiusure a singhiozzo delle frontiere improvvisate da Maduro. Insiste per la liberazione dei dirigenti contras in carcere da tempo immemorabile. E non perdona: “Tutti sanno che le sue bugie sono lontane dalla verità. Tradisce la gente, rovescia la sua ideologia con argomenti senza contenuto. Dictatozuelo…”, dittatore da operetta.
“Matto come una capra”, sorride sconsolato Pepe Mujica già presidente dell’Uruguay: è il politico più amato per la semplicità lontana da ricchezze ed esagerazioni. Viene dalla sinistra radicale dei tupamaros, eppure l’imparzialità del suo governo incantava l’America Latina.
A Caracas arriva d’urgenza Zapatero, socialdemocrazia dell’ex premier spagnolo alla quale Maduro e Capriles affidano l’estrema mediazione. Intanto il presidente mostra i muscoli: esercitazioni militari per “fermare l’invasione nemica”. Aerei (russi) coi missili in canna per bruciare gli intrusi; carri armati (cinesi) pattugliano le frontiere mentre militari e i civili delle brigate rivoluzionarie “difendono” le città. Grandi manovre finite ieri con qualche amarezza: due alti ufficiali cresciuti con Chavez (maggiore generale Cliver Alcalà Cordones e maggiore general Miguel Rodriguez, ex ministro Interni e Giustizia) prendono le distanze dall’isteria del presidente.
Annunciano alla Rede Globo brasiliana l’appoggio al referendum per mandar via Maduro colpevole di “amministrazione caotica e distruzione del patrimonio ideale della rivoluzione”. Fra loro anche il comandante Acosta Chirinos, compagno della rivolta di Chavez nel 1992 contro il presidente Peres che ordinava di sparare sulla gente in rivolta per il raddoppio del prezzo del pane. Accompagna l’opposizione a Maduro l’ex ministro più importante nella storia del paese: Jorge Giordani, economista. “Mi maestro”, ripeteva Chavez.
Dal primo giorno è stato responsabile di come spendere le royalties del petrolio. Idealista gramsciano di padre romagnolo, non ha mai ritirato lo stipendio: vive e viveva con la pensione di professore nella piccola casa lasciata dal padre. Maduro se ne è subito liberato. Il disastro comincia così.