CorrierEconomia, 23 maggio 2016
Pagare di più per crescere meglio. Sugli stipendi dei manager
Le prassi di remunerazione nelle aziende quotate mostrano un’evoluzione positiva: premi variabili predeterminati e misurabili; una maggiore incentivazione dei risultati di lungo termine; la buonuscita trattata con maggiore prudenza! Un cambiamento che pone le nostre imprese più grandi alla pari degli omologhi gruppi di altri paesi e contagia le imprese famigliari e perfino le aziende municipalizzate.
Diversi i fattori del progresso: la regolamentazione cresciuta in misura esponenziale dopo la crisi, la pressione degli investitori istituzionali e, non ultimo, l’azione dei Comitati per la remunerazione, ormai composti da consiglieri indipendenti. Possiamo considerare soddisfacente la situazione? No, ha ragione un mio cliente presidente di un comitato di remunerazione: «l’idea è ragionevole ma stiamo facendo un brodetto!». Infatti, se utilizzassimo in modo più innovativo la leva delle ricompense orienteremmo i manager a produrre performance superiori nel tempo. Perché se la crescita del compenso a rischio è apprezzabile, il fisso rimane una componente stimabile intorno al 50% del guadagno di un manager italiano.
Questa sostanziale stabilità della remunerazione fissa del vertice, a dispetto di performance spesso modeste o peggio, può accompagnarsi ad una indifferenza verso i risultati. Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, nella stessa Francia, l’interesse del management è legato in misura maggiore al valore creato nel lungo termine. La contestazione a Londra degli azionisti sulle retribuzioni e lo stesso annuncio del fondo sovrano norvegese di votare contro le remunerazioni eccessive sembrano moniti ai casi di contrasto tra il merito e le ricompense più che agli eccessi.
Quale investitore istituzionale, o piccolo azionista, negherebbe a Tim Cook o a Sergio Marchionne il compenso stellare basato su imponenti allocazioni di azioni, il cui valore cresce con i risultati? Peraltro non sembra che la fissazione di tetti o altre regole retributive si siano rivelate utili per migliorare i conti delle nostre imprese o per attirare manager capaci dall’estero. Mentre il basso utilizzo di strumenti finanziari ha risparmiato ai dirigenti perdite sulle azioni a seguito della crisi.
Bisogna guardare al futuro. La norma della Stock Exchange Security per le aziende americane, controversa e a lungo ritardata, di comunicare la distanza tra i compensi del vertice e del dipendente (il cosiddetto pay ratio ), avrà l’effetto di spostare il focus dalla comparazione tra i ceo all’analisi tra i livelli nella stessa azienda. Potremmo importare l’innovazione, perché il problema italiano è generale: rispetto ad altri paesi paghiamo male i manager ma anche i giovani ingegneri e gli insegnanti, i metalmeccanici come i professionisti, mentre si sta diffondendo lo slogan della gratuità per il lavoro. La competizione sulle competenze e la via per lo sviluppo passano attraverso migliori ricompense.