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 2016  maggio 23 Lunedì calendario

Xi Jinping versus Li Keqiang. Quando il presidente non è d’accordo con il premier

Chi governa davvero la seconda economia del mondo? Guardiamo alla Cina come se la sua potenza si muovesse coerentemente in una direzione, ma una serie di dichiarazioni del presidente Xi Jinping sulla necessità di lanciare una riforma «supply-side» (dalla parte dell’offerta) e molti atti di segno opposto, come la ripresa a pieno ritmo della produzione di acciaio e l’aumento del credito alle imprese (decotte), stanno mettendo allo scoperto una battaglia feroce per il futuro. E a Pechino si rincorrono ipotesi sull’estromissione del premier Li Keqiang, che secondo il sistema di consenso cinese dovrebbe dirigere l’economia.
Rallentamento
Con la Cina diventata anche la prima preoccupazione del mondo globalizzato, il presidente è impegnato in una nuova campagna per la ristrutturazione del sistema (e per il potere). Mentre Li Keqiang punta ancora sulla stabilizzazione della crescita basata sui vecchi metodi keynesiani degli investimenti massicci che creano debito, Xi Jinping ora ripudia queste politiche. Lo scontro di Pechino, all’inizio del nuovo Piano quinquennale 2016-2020, avrà un impatto anche da noi: lo stiamo già vedendo con il rifiuto europeo di concedere alla Cina lo status di economia di mercato e con la vicenda dell’acciaio cinese sottoposto a dazi del 522% dal Congresso Usa.
Il livello del conflitto interno è diventato evidente a Pechino la settimana scorsa con due articoli del «Quotidiano del Popolo»: il primo, sotto forma d’intervista a «una fonte autorevole» e anonima, spiegava che i problemi dell’economia cinese sono profondi e la prospettiva non è di un «rallentamento a U e nemmeno a V, ma a forma di L, quindi una situazione critica che non scomparirà in un anno o due». Non ce la si può cavare con il vecchio proverbio «kai men hong» «apri la porta per vedere il rosso» (colore di fortuna e prosperità), proseguiva l’intervistato-innominato. Questa frase ottimista «presto vedremo il rosso» era appena stata usata dal vicepremier Zhang Gaoli e quindi la fonte del «Quotidiano del Popolo» ha tirato uno schiaffo in faccia al vice di Li Keqiang e al governo.
L’autorevole fonte sarebbe se non direttamente Xi Jinping, come dice qualcuno, almeno Liu He il principale consigliere economico del presidente.
L’Innominato ha scaricato un’altra bastonata alle politiche di indebitamento attuate per puntellare la crescita stabile del Pil: «Un albero non può crescere fino a raggiungere il cielo, questo è un rischio mortale per il sistema finanziario». Nel primo trimestre le banche hanno concesso crediti per 4,6 trilioni di yuan (624 miliardi di euro), battendo il record di 4 trilioni del 2009, quando infuriava la crisi finanziaria. Nel 2015 il governo ha pompato 5,3 trilioni di yuan in progetti di infrastrutture e di edilizia varia per mantenere la crescita intorno al 6,5%. Ma con il tasso di aumento degli investimenti costantemente superiore a quello della crescita, il debito che nel 2007 era del 140% del Pil, ora è schizzato oltre il 250% e secondo stime Ocse l’esposizione delle aziende rappresenta il 160% (i settori più esposti sono acciaio, cemento e carbone, afflitti da eccesso di capacità produttiva). E sono emersi già almeno 590 miliardi di euro di debiti non ripagati.
Per chi avesse ancora dubbi sull’ispiratore dell’intervista, il giorno dopo il «Quotidiano del Popolo» ha pubblicato su due pagine un discorso tenuto da Xi a gennaio: l’unica via è la riforma «supply-side» che punta sull’offerta e quindi sulla chiusura e il consolidamento di quelle industrie statali tenute in vita solo dal credito, aveva detto il presidente. Una condanna a morte per le cosiddette «fabbriche zombi».
Battaglia finale
Ai due articoli sul «Quotidiano del Popolo», ha risposto il Consiglio di Stato (la denominazione del governo centrale) con tre interventi sul suo sito ufficiale. La serie si intitola «L’anno è partito bene per l’economia cinese» e i tre capitoli spiegano «Dov’è la stabilità»; «Dov’è il miglioramento strutturale»; «La vita della gente continua a progredire».
Dopo che Xi Jinping ha preso il controllo stretto dell’informazione ordinando che la stampa segua la sua linea e non dimentichi mai di essere emanazione del Partito, al premier Li Keqiang per esprimere le sue opinioni non resta che il sito web del Consiglio di Stato: quei tre articoli non sono stati rilanciati dai giornali, in un segno ulteriore di spaccatura tra il presidente e il capo del governo.
«Supply-side reform» era il mantra di Reagan e Thatcher (la Signora schiacciò il fronte dei minatori sacrificandoli sull’altare del liberismo). Xi Jinping cerca di spiegare che la sua idea non è ripresa dai due leader conservatori dell’Occidente, ma nell’intervista l’Innominato insiste che le «fabbriche zombi» debbono essere chiuse o costrette a chiedere la bancarotta. Nel discorso Xi sostiene che alcuni nel partito non hanno capito che cosa è la riforma «supply-side» cinese: «Alcuni compagni mi dicono di non aver compreso, quindi debbo sottolineare che questa riforma sarà strutturale, da noi il problema non è la domanda, che è cambiata in meglio, ma l’offerta che non l’ha seguita». Da queste parole risulta che il presidente sta incontrando molte resistenze e anche accuse di neo-liberismo.
I dirigenti cinesi evidentemente sono confusi, cercano di resistere al cambiamento. Moody’s avverte che Pechino fallirà se continuerà a inseguire «l’impossibile trinità di crescita, riforma e stabilità». La battaglia finale per la direzione economica della Cina è arrivata a un punto di svolta.