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 2016  maggio 23 Lunedì calendario

Al Roland Garros due ore di controlli per vedere due partite e mezza, un diritto fallito e leggere un libro

Non hanno il tetto, come a Roma, nemmeno a Parigi. Per costruirlo, grazie a un mio amico di origine italiana, l’architetto Lovera, avevano previsto di invadere il Giardino Botanico, di fianco al Roland Garros, lo stadio. Sin qui, le opposizioni hanno sventato la soppressione dei fiori, ancorché un grande saggista, il mio amico Denis Grozdanovich, sia stato pregato di non farsi più vedere, nei dintorni, per aver deriso la cementificazione.
Ma il mondo è cattivo, anche il Presidente del tennis, il piccolo Gachassin, è indagato per la generosità nella vendita di biglietti, come accadde anni fa anche al direttore del Foro Italico. Poiché la presenza di spettatori italiani è aumentata, non solo a Roma, non solo tra i lettori, mi par utile informare che ho impiegato oggi più di due ore per raggiungere lo stadio, causa i controlli polizieschi, che permettevano l’entrata soltanto tennisti e coach, figurarsi ai temibili giornalisti. Quando, dopo un’ora di vana passività, ho creduto di far notare che mai un viso pallido come me si era dedicato ad esplosioni, ho rischiato l’arresto da parte di due poliziotti, per poi convenire, di fronte al loro capo, che avevo pronunziato una frase da quel provocatore razzista che non pensavo di diventare. Piove, dunque, e io mi conforto con la lettura di un bel libro sul tennis, dal titolo esplosivo di “Smash”, scritto tra l’altro da qualche amico tennista, a conferma che il nostro è un gioco per intellettuali, un gioco iniziato nel 1500. Tra una doccia e l’altra, ho avuto la fortuna di assistere a due partite e mezza, se può essere definita tale quella di un Bolelli al rientro, per di più contro Nishikori, privato di un filo della finale romana. Simile incontro è stato due volte interrotto per la pioggia, e ci ha mostrato un Bolelli in via di guarigione tennistica.
L’altra partita di interesse patriottico è dovuta a Cecchinato, un giovanotto che non ricorda come mai i suoi bisnonni abbiano seguito la strada inversa a quella di Rocco e i suoi fratelli, trasferendosi dal Veneto in Sicilia. Cecchinato è andato per tre volte abbastanza vicino ad ogni set contro Kyrgios, l’australiano che è già diventato noto prima che famoso, per certe sue affermazioni audaci, e per gli attriti con gli arbitri, che anche oggi non sono mancati.
È, questo discendente di etnie venete, il secondo giocatore mai uscito dalla Sicilia, dopo il dimenticato Di Mauro, primi 70, mentre l’umile obiettivo di Cecchinato è il 50. Oltre ad un possibile membro della squadra che affronterà l’Argentina in Davis, si è fatta notare la semisconosciuta Danka Kovinic, originaria, come la Regina Elena di Savoia memoria, del Montenegro, e cioè di quella etnia detta jugoslava che ha prodotto il maggior numero di campioni del tennis contemporaneo. Contro una presunta campionessa quale Petra Kvitova, ora 12, nel recente passato 6 e 4, l’attuale 57 del mondo ha sbagliato, a due punti dal match, un diritto che anch’io non sarei riuscito a fallire.
Ha detto, la piccola, a un mio amico suo paesano: «Si aspettavano tutte che facessi scene in spogliatoio, che spaccassi racchette o piangessi. Invece sono contenta, ho dimostrato anche a me stessa di poter battere una delle prime».