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 2016  maggio 23 Lunedì calendario

Le opere di Banksy in mostra a Roma. Intervista al gallerista Acoris Andipa: «Non lo conosco e non so cosa pensa di questa iniziativa»

Una delle sue ultime azioni artistiche si intitolava Better Out than In, meglio fuori che dentro: e intendeva (anche) dal mercato dell’arte. Anonimo sin dai primi graffiti sui treni del 1993, Banksy rivendica addirittura di non esistere. Le gallerie d’arte, scrive nel suo manifesto Wall and Piece (2005), sono «la bacheca dei trofei degli straricchi», e chi le visita è solo «un turista». E l’ultima mostra di sue opere, Stealin Banksy?, del 2014, l’ha definita dal suo sito «disgustosa».
Come si tratta, da gallerista, con un «fantasma» come Banksy? «Non ci si tratta. In nessun modo». Parola di Acoris Andipa, che con la sua galleria londinese – un «negozio di famiglia» nel cuore del quartiere di Knightsbridge che gli Andipa, di origine greco-bizantina, gestiscono da quando il doge Mocenigo di Venezia diede loro il primo stemma araldico, ed era il 1593 – è il principale mercante al mondo delle opere dell’artista in mostra a Roma. «Vendo solo opere che non sono sottratte alla strada. Ci sono figuri che con tecniche anche avanzate “staccano” i disegni dai muri per venderli, ma lo trovo scorretto: l’arte di strada è pensata per tutti, non per essere venduta carissima».
È l’artista a mandargliele quindi?
«No, le compro da collezionisti che se le procurano, ad esempio, alle vendite pop-up che lui organizza di tanto in tanto (come il banchetto che mise nel 2013 a Central Park, o il parco temporaneo Dismaland animato la scorsa estate, ndr)».
Come ne verifica l’autenticità ?
«Per ogni opera che compriamo ne scartiamo altre nove. Non falsi, ma senza abbastanza documenti che ne traccino il pagamento. Dal 2007 è più facile autenticarle perché lo fa lui stesso, con un sistema chiamato Pest Control. Sono opere multiple, fatte con gli stencil: una due diligence (sistema approfondito di verifica, ndr) per chi investe è giusta».
Come vanno i prezzi?
«Vertiginosamente bene. Esistono mercati stabili, dalla crescita lenta e giusta. Il mercato dei Banksy non è così. E raggiunge vette assurde»
Chi sono gli acquirenti di Banksy?
«Collezionisti di grandissimo calibro, e di tutto il mondo. Molti britannici».
Che rapporto ha con Banksy?
«Non lo conosco».
Non avete mai parlato nemmeno di affari?
«No. E credo sia tutto ciò che posso dirle».
L’artista, recita il comunicato, non è coinvolto nella curatela della mostra.
«Abbiamo scelto noi, Stefano Antonelli e Francesca Mezzano dell’associazione Contemporary 999 e io, le opere da esporre. Sono tutte di proprietà di miei clienti. E i temi del titolo, guerra capitalismo e libertà, sono temi umani che come padre di due ragazzini mi ossessionano. Riguardano il mondo che lasciamo loro».
Spesso Banksy attacca chi organizza mostre delle sue opere.
«Non ha un grande amore per la dimensione commerciale della circolazione delle sue opere. E io questo lo apprezzo. Ho accettato di fare questa mostra – non pensa che me ne vengano proposte in quantità ogni anno? – a certe condizioni. Per esempio, che nel titolo non ci sia il nome Banksy. Non voglio fare “la mostra di Banksy”, come tutti gli altri esperimenti di questo tipo fatti nel mondo, che hanno un sapore molto commerciale. Apprezzo anche molto che questa mostra sia no-profit, a differenza di altre simili dai profitti mostruosi».
Pensa che lui ne sarà contento?
«Non l’ho fatto per questo. E se vuole sapere cosa pensa Banksy... beh, lo chieda a lui».