la Repubblica, 23 maggio 2016
Svegliarsi alle 4 e mezza per vedere il gallo cedrone. La storia di Andreas e Georg, gli ultimi due guardacaccia che fanno la conta degli animali dell’Alpe di Siusi per difenderli
Andreas e Georg ci danno appuntamento alle quattro e mezza ai piedi dell’Alpe. «Se vogliamo vedere gli animali, l’ora è quella». Quando Andreas aveva detto quattro e mezza, avevamo risposto: del pomeriggio? Grande risata dentro il telefono. E adesso eccoli qui, col cappello e il bastone e i cani e il binocolo e la jeep, mentre una luna ancora pienissima sbuca in controluce tra le guglie delle Dolomiti. «Se siamo fortunati vedremo il gallo forcello. Se siamo fortunatissimi, il gallo cedrone. Per caprioli e camosci non c’è problema».
Dire guardiacaccia è un po’ come dire spazzacamino, o lampionaio. Si pensa a un passato remotissimo, ai boschi delle favole, al limite alla pubblicità dell’amaro Montenegro. Eppure è un mestiere che ancora esiste, anche se non lo fa quasi più nessuno: pressoché estinto, come alcuni animali che protegge. Andreas Gasslitter e Georg Antholzer sono rimasti gli ultimi due al Parco naturale Sciliar- Canitaccio. Si dividono quasi 20 mila ettari, giorno e notte, a piedi o con le ciaspole o gli sci. Se si ammalano non vengono sostituiti, non esiste ricambio, però è difficile immaginare men che sanissimi questi due cinquantenni abbronzati e sorridenti che cominciano la marcia su dalla Bullaccia, quasi duemila metri di brughiera, il fiato si strozza ma dal primo chiarore comincia a sbucare il paradiso.
«Iniziamo le perlustrazioni sempre verso quest’ora», racconta Andreas facendo scendere dalla jeep i due segugi bavaresi «che ormai vediamo più delle nostre mogli», si chiamano Bill e Laika (i segugi, non le mogli). «Fiutano la traccia del sangue quando un animale viene ferito dai cacciatori e non muore subito, così noi dobbiamo andare a cercarlo. Può durare sette, otto ore». Guardiacaccia significa sorvegliare e censire le specie selvatiche, vigilare sulla caccia, collaborare con gli agricoltori per la salvaguardia dei biotopi, fermare i bracconieri. «Siamo guardie giurate, non Carabinieri o forestali. Se il cacciatore si rifiuta di mostrarci quello che ha preso, lo possiamo fermare, non perquisire, e intanto chiamiamo la forza pubblica».
Georg e Andreas parlano l’italiano dell’Alto Adige, cioè più tedesco che italiano. D’improvviso si sente il canto di un uccello ma Andreas ne conosce il nome solo nella lingua di Goethe. «Non è problema, abbiamo Google traduttore». Smanetta un poco sullo smartphone (il suo prende, il nostro no) ed ecco il verdetto: allodola. «La prima cosa è contare gli animali, solo così sapremo quanti se ne potranno cacciare dal primo maggio al 15 dicembre. Qui abbiamo una sessantina di cervi, 300 camosci, 700 caprioli, una quindicina di galli forcelli e un paio di cedroni». E quanti se ne possono abbattere, Georg? «Il cedrone è specie protetta, chi ci prova perde la licenza per sempre e paga 10 mila euro di ammenda. Per i forcelli, non più di un paio a stagione. E una quindicina di cervi, una quarantina di camosci, più o meno 150 caprioli che sono la colonia più estesa. Si tratta di caccia di selezione e serve a mantenere l’equilibrio naturale nel parco». La vera minaccia non è il fucile ma la rogna dei camosci, un’infestazione degli acari senza rimedio: «Problema gravissimo, l’80 per cento rischia di morire così».
Sono le cinque e mezza, il sole compare dall’Ortles e in pochi minuti dipinge di rosa le montagne. «Ora proviamo a sentire il gallo». Prima l’eventuale canto di richiamo, poi si segue la traccia e si spera. Andreas si ferma, punta il binocolo. Il silenzio è perfetto. «Ancora no», dice. Georg segue con lo sguardo i due cani e racconta che questo è un lavoro meraviglioso, «non si guadagna tanto, 1600 euro al mese, ma è una vita libera». «Io, prima facevo il fabbro meccanico», spiega invece Andreas «e stavo comunque da solo, come adesso: lavoravo sulle funivie. La solitudine mi piace, lascia tempo per i pensieri».
L’amore per la natura, par di capire, qui non è un sentimento dolciastro o una posa ideologica, è solo il ritmo della vita e della morte, il senso delle bestie da salvare e di quelle da uccidere. «Il cambiamento del clima sta facendo una strage. La lepre bianca e la pernice bianca cambiano il manto in ottobre, ma ormai fino a gennaio o febbraio non nevica più: vuol dire che per tre o quattro mesi, queste bestie resteranno bianche nello scuro della vegetazione e dei prati, e i rapaci potranno ucciderle senza fatica. Io penso che tra qualche anno si estingueranno proprio per colpa del clima». Invece il gallo cedrone, il mitico urogallo di Rigoni Stern, è una diversa vittima dell’uomo: «I contadini hanno smesso il taglio del bosco, non conviene più, ma il cedrone mangia dov’è tutto pulito e aperto, il bosco chiuso alla lunga lo fa morire di fame». Gli stipendi dei guardiacaccia sono pagati dalle licenze dei cacciatori («è anomalo, ma qui per fortuna il 90 per cento rispetta le leggi»), tutto il resto è a loro carico. Un binocolo costa 2 mila euro, gli scarponi 350, il fucile 5 mila. «Abbiamo addosso 10 mila euro di roba», dice Andreas. Nello zaino (120 euro) ci sono il formaggio e lo speck per il pranzo ancora lontano molte ore. «Tra due settimane qui sarà tutto fiorito, dovete tornare». Georg e Andreas proteggono anche questi boccioli di cui non conoscono il nome, però Google traduttore non ha dubbi, “pulsatilla vernaris”, cioè l’anemone primaverile. «I turisti rispettano l’ambiente, nessuno si azzarda a cogliere neppure una stella alpina».
La luce è tiepida, i colori cominciano a sfumare. Dietro la malga ci sono un paio di caprioli e un camoscio: Andreas punta il binocolo e ce lo passa, il camoscio guarda fisso nella nostra direzione però non scappa. «Loro sanno riconoscere i cacciatori, sono sensibilissimi al pericolo. A volte nemmeno smettono di brucare quando passa un turista, anche se la mattina presto il turista dorme». Georg e Andreas riconoscono al volo una poiana o un picchio tridattilo, però non hanno mai visto Roma. «Una volta sono stato sulla Maiella», dice Georg. Un figlio di Andreas è falegname, qui gli artigiani esistono ancora. «Ma la crisi si fa sentire, meno di prima e meno che da altre parti, ma c’è».
Tra mezz’ora si deve scendere, tra poco chiuderanno la strada per far passare altri strani tipi di animali, questi però in bicicletta. Andreas fa segno di seguirlo oltre la neve ghiacciata. Tutti immobili, uomini e cani. Il guardiacaccia ha sentito qualcosa. Prende il treppiede dallo zaino, monta il binocolo grande, punta e mette a fuoco. Infine sussurra «…il forcello, laggiù». Inquadra, prende la mira e ci fa guardare nella lente. Una creatura d’altri mondi, una specie di tacchino nero con il collo d’un azzurro acciaio, la coda bianchissima, il becco nero e due macchie rosse sopra gli occhi, saltella sulla linea che separa l’altopiano dal cielo.