Corriere della Sera, 23 maggio 2016
Sul disastro aereo «ogni scenario è possibile». Un robot sottomarino cercherà le scatole nere sul fondo del Mediterraneo
Un robot sottomarino del ministero del Petrolio egiziano è stato inviato al largo di Alessandria per cercare nelle profondità del Mediterraneo le scatole nere che potrebbero indicare la causa del disastro del volo EgyptAir 804 del 19 maggio da Parigi al Cairo. Le scatole nere possono essere individuate grazie ai «ping» che verranno emessi per una trentina di giorni. Il sottomarino, che può arrivare a tremila metri di profondità, si unisce alle squadre di ricerca navali e aeree dell’Egitto ma anche di Gran Bretagna, Cipro, Francia e Grecia che perlustrano la zona in cui sono affiorati rottami, oggetti e resti umani a 290 chilometri dalla costa.
Non ci sono ancora risposte sulle ragioni del disastro. Il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, nel suo primo discorso pubblico dopo la tragedia, trasmesso dalle tv locali, ha invitato i media alla cautela. «Le indagini richiedono tempo, per cui non c’è bisogno di affrettarsi alle conclusioni ora. Non c’è un unico scenario che possiamo sottoscrivere... tutti gli scenari sono possibili», ha detto dopo aver fatto un minuto di silenzio per le vittime. Le sue parole fanno eco a quelle del premier francese Jean-Marc Ayrault che sabato sera, dopo rivelazioni sulle avarie (fumo, problemi al finestrino del copilota) registrate a bordo negli ultimi tre minuti prima dello schianto, ha spiegato che non si può dire se si sia trattato di un guasto o di una bomba: «Tutte le ipotesi restano aperte».
Ci vorrà tempo anche per recuperare e identificare i corpi delle vittime. EgyptAir ha detto ai familiari dei 56 passeggeri e 10 membri dell’equipaggio che potrebbero volerci settimane, il che inevitabilmente aumenta il dolore e l’incertezza. Alcuni parenti, come la madre della hostess 27enne Samar Ezz Eldin, che si era appena sposata, fanno fatica ad accettare la realtà: la signora rifiuta di staccare il cellulare convinta che la figlia potrebbe chiamarla da un momento all’altro. Altri, come i sette cugini e zii di Nasser Hamdy Hammad, vestiti con le tradizionali gallabya e turbanti e giunti dopo otto ore di treno da Assiut, sono tornati a casa e ora non sanno a chi chiedere notizie, telefonano disperati ai reporter che li avevano intervistati.
Un membro del sindacato di EgyptAir ha chiesto al presidente di consentire che i certificati di morte possano essere consegnati in breve tempo, evitando la consueta burocrazia che prevede cinque anni di attesa per le persone scomparse: ciò lascerebbe i familiari in un limbo legale, bloccando a lungo, tra l’altro, il pagamento dell’assicurazione. Al Sisi ha promesso nel suo discorso di ieri che le indagini saranno trasparenti. «Potrebbe volerci molto tempo, ma nessuno può nascondere queste cose. Appena ci saranno dei risultati, i cittadini saranno informati».
In quella che il New York Times ha definito una «inquietante coincidenza» si è scoperto che due anni fa qualcuno aveva scritto in arabo «abbatteremo questo aereo» sulla carlinga dell’Airbus precipitato mercoledì; altri graffiti sulla fiancata sembravano diretti al presidente Al Sisi («traditore», «assassino»). Tre funzionari di EgyptAir dicono al quotidiano americano che i responsabili erano probabilmente impiegati dell’aeroporto del Cairo ma anche che quelle scritte sarebbero il sintomo di «aspre divisioni politiche» piuttosto che di una precisa minaccia jihadista. Graffiti simili apparvero nella capitale dopo che il generale Al Sisi rovesciò il presidente Mohammed Morsi nel 2013. In quel periodo, tra l’altro, EgyptAir licenziò diversi impiegati, per lo più tra il personale di terra, per ragioni politiche, in quanto considerati simpatizzanti della Fratellanza Musulmana (purghe simili sono avvenute in altre aziende).
In risposta al caos politico, agli attentati e al disastro dell’aereo russo nel Sinai, sono anche cambiate le procedure di sicurezza – sottolineano i funzionari aeroportuali —: più controlli sui passeggeri, più guardie di sicurezza a bordo (ce n’erano tre sul volo precipitato, uno in più del solito, benché disarmate). Nessun indizio porta a pensare che i piloti avessero moventi o problemi mentali, e i parenti hanno reagito con rabbia alla sola ipotesi di una responsabilità dell’equipaggio. «Mio cugino verificava personalmente tutte le procedure di sicurezza. Sorgono spesso problemi a bordo ma lui era addestrato a risolverli», dice al Corriere Sameh Shoukair, parente del comandante Mohammad Shoukair. «Parlava sempre di aerei, tanto che i miei due figli vogliono fare i piloti. Diceva che volare è sicuro, specialmente quando parti da Charles de Gaulle».