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 2016  maggio 23 Lunedì calendario

Ora gli ultras si affrontano in campo neutro. Come cambia la violenza del tifo

Il campo «neutro» sta diventando campo di scontro. Roma, stadio Olimpico (e soprattutto dintorni), massime autorità in tribuna, la morte di Ciro Esposito dopo gli scontri di Tor di Quinto del 3 maggio 2014 (partita Napoli-Fiorentina; aggressione di romanisti ai pullman dei napoletani). C’è quel precedente che pesa sulla finale di Coppa Italia. E un altro elemento chiave: è rimasta una delle rarissime partite di calcio in Italia per cui le tifoserie e gli ultrà si muovono in massa. Così si moltiplicano i rischi per l’ordine pubblico. E si dimostra una tendenza ormai stabile: mentre calano tutti gli indici di violenza negli stadi di Serie A durante il campionato, scontri e feriti aumentano negli eventi «eccezionali». La finale di Coppa Italia, appunto. E poi le partite di Champions ed Europa League, con le trasferte delle tifoserie straniere.
La spiegazione per il raid di sabato sera contro il bar di via Leone IV a Roma non può essere nella rivalità tra gli ultrà di Milan e Juventus: perché contrasti ormai non ce ne sono. Non hanno conti aperti, al di là di qualche episodio minore. Anzi, sull’asse Milano-Torino s’è saldata ormai da anni una forte vicinanza tra i gruppi dominanti delle curve. E allora, per ipotizzare una motivazione, bisogna guardare altrove. Prima di tutto, al contesto. E ai numeri.
Sabato 14 maggio 2016, ultima di campionato, Milan-Roma (1-3): 2 mila romanisti nel settore ospiti di San Siro, qualche centinaio di giallorossi anche nei settori vicini. Ai gol, esultano in mezzo ai milanisti, ma nessuno si scompone. Atmosfera rilassata. Dall’altra parte, la curva del Milan è mezza vuota, si limita a una blanda contestazione. Quella partita è la conferma del resoconto fatto nel rapporto 2015 dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive: «Tutti gli indicatori presentano un chiaro miglioramento della situazione». Meno incontri con feriti (da 39, a 32), meno aggrediti tra le forze di polizia (da 33, a 26), meno denunciati (da 654, a 266). In questo quadro, ci sono due fatti che prendono rilievo. Primo: la tifoseria milanista, sfilacciata in casa nell’ultima giornata di campionato, e che per tutto l’anno s’è presentata con poche centinaia o poco più di un migliaio di ultrà nelle trasferte, per la finale di Coppa Italia a Roma è andata in massa. È l’ovvio richiamo del grande evento. Ma c’è una conseguenza: se tessere del tifoso e divieti di trasferta stanno progressivamente riducendo i rischi nelle partite di campionato, il massiccio movimento degli ultrà per la finale di Roma fa rialzare il pericolo di scontri.
Se questo è un fatto in qualche modo strutturale, bisogna però cercare di rispondere a un’altra domanda: perché i milanisti sono andati a Roma caricando i pullman di mazze, bastoni e coltelli (tutto materiale sequestrato dalla polizia)? Una possibile spiegazione è nel «rischio De Santis» (Daniele De Santis, l’ex ultrà giallorosso che guidò la provocazione contro i pullman dei napoletani e poi sparò nel 2014). E cioè il fatto che una tifoseria, in trasferte importanti, in particolare a Roma e con quel precedente, pur se non programma agguati mette in conto di potersi scontrare, e non sono con gli ultrà avversari nella partita.
L’aggressione di sabato dimostra infine che le misure repressive all’interno degli stadi hanno definitivamente spostato la violenza all’esterno (12 per cento degli scontri dentro, 68 per cento fuori). Le partite più a rischio sono quelle con le tifoserie che arrivano dall’estero: nel 2014/2015, 94 arrestati in incontri internazionali, quasi il triplo rispetto all’intero campionato italiano. In questa tendenza, la tifoseria milanista è emblematica: poco «appariscente» in campionato, pesantemente infiltrata da elementi legati alla criminalità comune, equilibrio instabile, con una feroce esplosione di violenza nel dicembre 2013 (6 tifosi dell’Ajax accoltellati a Milano) e qualche scontro interno negli ultimi mesi.