Corriere della Sera, 23 maggio 2016
L’assurdo assalto di 150 tifosi del Milan a un pub a Roma, dopo la finale di Coppa Italia
La più massiccia operazione di identificazione di gruppi ultrà mai effettuata in Italia ha chiuso all’alba di ieri la prima fase delle indagini sull’assalto di 150 tifosi del Milan a un bar-ristorante nel rione Prati, nel centro di Roma, dopo la conclusione della finale di Coppa Italia persa dai rossoneri con la Juventus all’Olimpico. Un altro evento sportivo macchiato di sangue, appena due anni dopo l’omicidio di Ciro Esposito a Tor di Quinto prima di Fiorentina-Napoli.
Fra i 600 supporter provenienti quasi tutti dalla Lombardia e scortati fuori Roma dalla polizia c’era anche Kevin Pirola, 19 anni, di Sesto San Giovanni, arrestato per duplice tentato omicidio di due avventori del locale – il Jet Lag di via Leone IV —, Gianluca Messineo e Alessandro Palmieri (26 e 40 anni), ricoverati in ospedale in prognosi riservata ma fuori pericolo. Non sono juventini né romanisti: il primo festeggiava il compleanno con un gruppo di amici, il secondo cenava da solo. La Digos ha fermato e denunciato 71 ultrà (tutti sottoposti a Daspo) dei circa 150 scesi da tre pullman di fronte al locale armati di spranghe e coltelli.
Il blitz all’una meno cinque di sabato notte. Dopo l’intervento della polizia la colonna di 15 pullman di rossoneri è stata fermata un paio di chilometri più avanti. In 600 sono finiti al foto-segnalamento: Pirola, che era incensurato, è stato riconosciuto da più di un testimone come uno degli accoltellatori dei due clienti del locale, ma uno dei feriti, Gianluca Messineo, ha dei dubbi. Ma ci sono sospetti su altre 9-10 persone: potrebbero aver preso parte all’assalto, filmato forse dalla videosorveglianza di locali e strade.
Fra i 600 c’era l’ala più dura del tifo rossonero, l’ipotesi è che volesse lasciare il segno prima di andar via dalla Capitale e che l’obiettivo sia stato scelto a caso. Ma non si vengono tralasciate altre piste, sebbene dalla Questura escludano che il raid sia la conseguenza di uno scontro con ultrà bianconeri. E ora dai poliziotti-sindacalisti della Silp Cgil arriva l’avvertimento: «I club devono fare di più per isolare i violenti». Il pensiero va alle barriere nelle curve che tante polemiche hanno scatenato proprio a Roma. E dalla Questura confermano: «L’attacco è la dimostrazione che gli ultrà violenti sono più forti quando sono compatti. A Roma li abbiamo disgregati».
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Tracce di sangue sul marciapiede, sul pavimento del bar, sulle maniglie delle porte a vetri. Tracce di un assalto che assomiglia molto a una spedizione punitiva, per lasciare un ricordo più violento possibile del passaggio dell’ala dura degli ultrà milanisti a Roma. Coltellate per uccidere. Alla schiena, all’addome. Altro che puncicate alla romana. «Qui non c’erano juventini, ve lo posso assicurare – racconta ancora provato Elvis Zucca, uno dei titolari del Jet Lag di via Leone IV —, e non c’è stata alcuna provocazione quando i pullman con i tifosi del Milan sono passati qui davanti. C’erano solo giovani che festeggiavano un compleanno ai tavolini fuori e qualcuno che mangiava dentro. Invece quelli sono entrati come furie, hanno spaccato tutto, lanciato tavoli e sedie, inseguito i clienti fino dentro il locale».
Il motivo è per ora ignoto. Alcuni degli ultrà rossoneri fermati e denunciati si sono giustificati dicendo di aver sentito colpi sulle carrozzerie dei loro pullman e temendo un assalto di tifosi rivali hanno deciso di reagire. Versione ritenuta poco credibile e comunque al vaglio della Digos. «Nessuno ha tirato oggetti contro i pullman – assicura ancora Elvis – e comunque di certo non dal bar. Erano belve, più di trenta. Avevano spranghe, bastoni e coltelli. Ci siamo dovuti difendere da soli perché la polizia non l’abbiamo vista, forse non c’era. È arrivata solo dopo quando quei pazzi erano già andati via».
In realtà la colonna composta da una quindicina di pullman diretti sull’Aurelia dopo la conclusione della finale di Coppa Italia con la Juventus, era scortata da pattuglie della polizia in testa e in coda. Ma quando tre torpedoni si sono fermati davanti al bar, con gli autisti minacciati di morte se non lo avessero fatto, all’improvviso in mezzo a via Leone IV sono comparsi almeno 150 teppisti armati di tutto punto. Gianluca Messineo, 26 anni, aspirante attore – in arte Gianluca Macrì —, è stato il primo a essere colpito dalle coltellate. Ieri è stato operato al Santo Spirito, è fuori pericolo. «Prima lo hanno preso davanti – ricorda un suo amico, Luca D’Onofrio, che lo stava festeggiando —, lo hanno ferito all’addome e al torace. Volevano ammazzarlo. Poi quando lui ha tentato di entrare nel bar, lo hanno ferito anche alla schiena. Erano in tanti, sembravano assetati di sangue. All’inizio qualcuno ha pure pensato che fossero terroristi con i pugnali. Come se non bastasse è arrivato un altro che, quando Luca era già piegato in avanti per le coltellate, gli ha dato una bastonata sul volto spaccandogli il labbro».
Violenza cieca, inaudita. Apparentemente inspiegabile, tanto più che la partita era finita da quasi due ore e i milanisti stavano riprendendo la strada di casa. Con le stive dei pullman piene di armi, spranghe, coltelli, taglierini, bombe carta. Un arsenale – che la polizia ha ritrovato abbandonato sul marciapiede del Jet Lag e in parte ancora sui torpedoni (comprese dosi di droga) – che non era entrato all’Olimpico ma che doveva servire a qualcosa a fine partita. Forse proprio a dare una lezione a Roma, più che ai rivali juventini che festeggiavano l’ennesimo trofeo.
«Stavo mangiando un piatto di pasta all’interno del locale, ho visto quegli energumeni che sfasciavano tutto, le ragazze che gridavano, mi sono alzato per fermarli, ma uno di loro mi ha dato una coltellata», ha raccontato in ospedale l’altra vittima della nottata di terrore, Alessandro Palmieri, 40 anni, ricoverato in osservazione al San Camillo con una ferita alla schiena. In tanti hanno rischiato di fare la sua fine. «Ero impietrita dal terrore – ricorda un’amica di Macrì —, tutti correvano dentro il locale per ripararsi. Per fortuna il mio ragazzo mi ha presa per un braccio e mi ha trascinato via».