la Repubblica, 23 maggio 2016
L’ultimo addio a Pannella nella sua Teramo, con un giro di Sambuca
Quando parte l’applauso alla bara di Marco Pannella, che alle 3 di ieri pomeriggio esce dal municipio di Teramo, Emma Bonino alza gli occhi al cielo. Sorride malinconica, scuote la testa: «Anche questo...». Vive in una solitudine di gruppo l’addio al suo Marco, Emma. Lontana e silenziosa, con il foulard attorno alla testa che ne ricorda la malattia. Non ha mancato una piazza per salutare il fratello leader, voleva esserci anche per il funerale nella città di Marco. Ma non parla, il dolore, enorme, non lo condivide. Teramo si riprende Marco Giacinto Pannella, come lui voleva, dalle prime ore di domenica. È l’1 e 40 quando il corpo, rientrato da Roma, viene ospitato tra i parati verdi dell’aula del Consiglio comunale. Alle 7 del mattino arrivano i primi amici, poi il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, che con lui condivise la Lista della Genziana, e il sindaco di Teramo, Maurizio Brucchi, che il leader convocava all’ex Caffè Grande Italia, qui dietro. Nel primo pomeriggio, i gonfaloni alzati, i carabinieri con il pennacchio, il musicista rom Santino Spinelli, la piccola città in collina ricorda come Marco Giacinto, che si definiva «un mulo abruzzese», qui si fosse allenato alla prima politica, a Teramo avesse allestito una palestra per l’opposizione da campo. S’incatenò a una ruspa, negli anni 90, ai primi pioppi abbattuti per favorire la superstrada Teramo Mare, il lotto zero «che asfaltava due fiumi e si diramava in svincoli infiniti», ricorderà l’avvocato Vincenzo Di Nanna. Pannella ne fece cambiare il percorso e addolcire l’impatto. Sulla bara si scorge un drappo bianco con i simboli del Partito radicale, la bandiera del Tibet, le chiavi della città che il sindaco Brucchi gli aveva consegnato a Roma solo dieci giorni fa strappandogli un pianto. Poi un pacchetto di Toscanelli. In sala ci sono i radicali venuti dal lago Maggiore e il funzionario di polizia Ennio Di Francesco, che 41 anni fa arrestò Pannella a Roma per possesso di marijuana e poi prese la tessera dei Radicali. Ci sono Antonio Razzi, abruzzese di Giuliano Teatino, e Gaetano Quagliariello, che gli aprì le porte del centrodestra.
Dietro il feretro che si avvia verso il cimitero urbano ora si scorge la compagna Mirella Parachini, l’ex segretaria Rita Bernardini e i due ragazzi che hanno assistito Pannella nella casa romana in via della Panetteria, gli ultimi cento giorni: Matteo Angioli e Laura Hart. Lei, fiamminga, dice: «Per Marco non si può parlare di conversione religiosa, lui era naturalmente evangelico e spirituale. Credeva nella libertà di culto e nel soffio unico che anima tutte le chiese. È stato sincero nella sua lettera a Papa Francesco, ma non ha mai rinnegato la critica al clero». I vecchi amici teramani ricordano come da ragazzo Marco Giacinto fosse «cattolicissimo» e abbia dato un aiuto concreto alla costruzione della chiesa del Sacro Cuore in via Giacinto Pannella, prozio canonico. Nella strada di famiglia Marco aveva casa, e altre proprietà. «Nel 1935 ero con lui in prima elementare», dice Tino Di Pietro, «saremmo rimasti insieme fino alla quinta. Ci siamo appicciati qualche volta, Marco aveva già un carattere, ma era sempre presente, sempre attento agli altri». Il saluto al cimitero di Cartecchio, padiglione 14, sarà senza parole. Dieci le tombe di famiglia, che già ospitano genitori e sorella: «Vorrei riposare vicino a loro», aveva detto Pannella. Una lapide in plastica, temporanea, ora è tenuta su con lo scotch. Parte un altro applauso, dura tre minuti. Gli amici più cari, compreso Matteo Angioli, salutano il leader con un giro di Sambuca. «Lui voleva così».