Il Messaggero, 22 maggio 2016
Meglio fare il papà che vincere uno Slam. Parola di Andy Murray
Dei 4 celebrati “Fab Four” del tennis mondiale è considerato il meno fenomeno. Federer, Djokovic, Nadal e poi lui, Andy Murray. Fortuna è essere nel posto giusto al momento giusto. In questo la dea bendata non è stata clemente con il 29enne scozzese, che sta riscrivendo la storia del tennis targato Union Jack: due titoli dello Slam (US Open 2012 e Wimbledon 2013), la medaglia d’oro nell’olimpiade di casa (Londra 2012) e la Davis nel 2015. Ma cosa sono rispetto ai 17 trionfi nei Major di Federer, ai 14 di Nadal o agli 11 di Djokovic? Il più grande tennista britannico dell’era open si presenta al Roland Garros (il via oggi) reduce dal successo a Roma. Ma poco gli importa della sua nuova condizione di uomo per tutte le stagioni: mai in passato aveva raccolto così tanto sulla terra.
PADRE ORGOGLIOSO
«Essere un buon genitore è più importante che vincere altri Slam», sottolinea. La nascita della figlia Sophia lo scorso 7 febbraio ha portato una rivoluzione nella sua vita. «È una bella sfida – racconta – mi ha cambiato e messo alla prova. Preferisco svegliarmi la notte ed essere lì con lei che vincere ogni match. Certo voglio restare al vertice e mi alleno duramente, ma ora la mia priorità è la famiglia. Se aiuterà il mio tennis va bene, altrimenti fa lo stesso». Il campione scontroso che conoscevamo lascia il posto ad un papà attento: «Non voglio perdermi niente di mia figlia. Quando guardo una foto del giorno in cui è nata e una di 5 giorni dopo o una scattata ieri mi accorgo di quante cose cambiano quotidianamente».
POCO BRITISH
Scozzese e fiero di esserlo, ragazzo della classe media patito di calcio (da ragazzino ha fatto un provino per i Glasgow Rangers), Murray è quasi uno straniero nel tennis britannico, sport che fa fatica a democraticizzarsi e il cui simbolo è stato per anni Tim Henman, rampollo dell’Upper Class londinese. Andy ha tuttavia avviato la riconciliazione con il suo pubblico: è seguito da un esperto in immagine che ha lavorato al “The Sun”, è diventato più educato in campo e ha capito che quando si parla di calcio, di Scozia e Inghilterra in particolare, non deve mai dire che «è una gioia battere gli inglesi». Lo aveva intuito lo stesso autore della frase, lo scozzese Gordon Brown, ex Primo Ministro del Regno Unito. Qualche anno fa al Foro Italico gli chiesero cosa amasse di Roma. Rispose infastidito: «Sono qui per giocare a tennis, non per fare il turista». Una settimana fa descriveva incantato le bellezze della Capitale: «Peccato non aver avuto molto tempo per passeggiare lungo le strade del centro». Della sua infanzia parla poco. Soprattutto del massacro di 16 bambini nella scuola di Dunblane (la sua città natale), che frequentava quando aveva 8 anni, e del divorzio dei genitori William e Judy un anno dopo. «Non è facile vedere tuo padre e tua madre litigare, ma sono stati ottimi genitori. Ricordo che quando avevano il fine settimana libero portavano me e mio fratello Jamie a giocare i tornei. Quando lavori dal lunedì al venerdì non è piacevole guidare ore e ore per raggiungere un circolo. Loro lo hanno fatto».
L’AMATA KIM
Si scioglie quando parla della moglie Kim Sears. Qualche anno fa ha avuto il buon cuore di offrirgli una seconda possibilità dopo averlo lasciato per le troppe ore trascorse alla Playstation. «Stiamo insieme da quando avevamo 18 anni. Sono stati 10 anni con alti e bassi. Con la vita che conduco, i continui viaggi, non è stato semplice. Però ce l’abbiamo fatta, penso che la stabilità sia positiva». Lo aiuterà a spingere nel tentativo di diventare n.1 o resterà la gamba zoppa dei Fab Four? Parigi ci darà le prime risposte.