La Stampa, 22 maggio 2016
Il meglio e il peggio di questo Cannes, dalla A alla Z
Oggi è la domenica delle Palme, un altro Cannes finisce. Dalla A alla Z, il peggio e il meglio (o il meno peggio).
A come Aïoli. Tipica salsa agliosa provenzale, in pratica aglio all’aglio, tradizionalmente servita al picnic offerto dal sindaco di Cannes ai giornalisti. I colleghi che partecipano si riconoscono appena aprono bocca.
B come Boulevard des Italiens. La stampa francese chiama così le file dei cinema dove si accalca quella italiana, abituata a muoversi e a scrivere in branco.
C come Controlli. Asfissianti ma, per carità, giustissimi. Però il sequestro di banane, frutta secca, acqua, caramelle e altri generi di conforto non è sicurezza: è sadismo.
D come Dolan (Xavier). Tutti d’accordo: è un genio. Dopo il suo Juste la fin du monde i critici sono però divisi: per alcuni è sempre un genio, per altri stavolta si è distratto un attimo. In compenso, è già annunciato che presiederà la giuria nel 2018.
E come Escort. In un attacco di puritanesimo yankee, l’Hollywood Reporter segnala scandalizzato che Cannes è piena di signorine dalla moralità elastica ma dal conto in banca in crescita. Pare che la tariffa delle più gettonate da magnati russi e sceicchi arabi si aggiri sui tremila euro a notte.
F come Filosofo. Bernard-Henri Lévy: e allora perché fa il regista?
G come Gatto ignoto. Quello che recita accanto a Isabelle Huppert in Elle. Bravo quasi quanto lei.
H come Hadid (Bella). Di professione famosa, ha fatto la Montée des marches più sensazionale del Festival: nessuna altrettanto bella e altrettanto svestita. Nell’attesa di entrare nel Guinness per lo spacco più lungo di tutti i tempi, segnaliamo che non è vero che sotto non portasse nulla. Aveva una specie di filo interdentale, rosso come il vestito (volendo chiamarlo così: un metro di stoffa in tutto).
I come Icona. Bella, brava, modaiola, bisessuale, rockettara e perfino intelligente: è stato decisamente il festival di Kristen Stewart.
L come Libération. Il quotidiano ci ha dato due gioie. Il suo strillone, che ti abbaiava nelle orecchie mentre ancora tramortito facevi la coda per la proiezione delle 8 e 30 (del mattino). E le sue cronache, sempre le più divertenti.
M come Morto. Jean-Pierre Léaud, primo festival nel 1959, magnifico Re Sole agonizzante nella Mort de Louis XIV, tutto il film sdraiato sul letto mentre la Francia piange. Oggi gli daranno la palma alla carriera, praticamente un’altra commemorazione da vivo.
N come Nellie (nel film, Marvin). Bulldog inglese che ha vinto la «Palm Dog» per la sua interpretazione in Paterson di Jim Jarmusch. Riconoscimento purtroppo postumo: Nellie è mancata poco dopo la fine delle riprese. Con tanti cani visti sullo schermo, peccato sia toccato proprio a lei.
O come Occhio. Quello, umano, che viene prima mangiato e poi vomitato in Neon Demon. Un film per stomaci forti.
P come Penn (Sean). Il suo polpettone sentimental-african-buonista The Last Face ha messo d’accordo tutta la critica francese, notoriamente la più litigiosa del mondo. Qualche titolo: «C’è un dottore in sala?» (Le Figaro), «Ridicolo!» (Le Parisien), «Catastrofe umanitaria» (Nice-Matin), «Nuovo dramma per l’Africa» (Libé). Pur coinvolta nel disastro, l’ex Charlize Theron se la ride.
Q come Quei due. Russell Crowe e Ryan Gosling in The Nice Guys, la risposta di Hollywood a Bud Spencer e Terence Hill. Oppure l’entità duale composta dai fratelli registi Jean-Pierre e Luc Dardenne, belgi e non siamesi come si potrebbe pensare.
R come Refn (Nicolas Winding). Delizioso il bouquet del regista danese per il collega e compatriota Lars von Trier: «È in là con gli anni» e «Ha cercato di portarsi a letto mia moglie». C’è del marcio in Danimarca.
S come Scarpe. Julia Roberts evidentemente non le sopporta e per questo si è presentata scalza sul tappeto rosso. O forse per non sovrastare ulteriormente George Clooney.
T come Tory. A stare a sentire Ken Loach, le uniche disgrazie che non si possono imputare a Cameron e al suo partito sono le guerre puniche e la separazione fra Sean Penn e Charlize Theron (vedi sopra). Per il resto, i tory sono colpevoli praticamente di tutto.
U come Uffa! Il sito slate.fr ha calcolato che per vedere tutti i film di tutte le sezioni della selezione ufficiale, esclusa quindi la Quinzaine, occorrono 116 ore e 17 minuti. Segue collasso.
V come Venezia. Non ne parla nessuno...
Z come Zuzzurellone (ovviamente). Quello che alla fine del romeno Sieranevada (due ore e 53 minuti, il film più lungo) ha strillato: «Ricominciamo da capo!».