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 2016  maggio 22 Domenica calendario

Mozart e mignotte. Cronaca del funerale di Pannella

In nessun altro posto che qui, a piazza Navona. Dove Marco Pannella sale sul suo ultimo palco alle due del pomeriggio portato in spalla dai compagni. La piazza applaude. Il Requiem di Mozart è la colonna sonora di una vita e ora di una morte. In nessun altro posto che qui, dove Pannella ha spacciato hashish, s’è vestito da Babbo Natale, ha distribuito ai passanti i soldi del finanziamento pubblico, ha fatto infuriare Indro Montanelli che all’attico non riusciva a prendeva sonno per il baccano radicale. In nessun altro posto che qui, che nello sprofondo dei secoli era luogo di bettole e di meretricio, di nottambuli socialmente impresentabili, di ex galeotti che si guadagnavano il pane come potevano. Dodici giovani di Rebibbia reggono lo striscione d’addio. «Siamo i deleganti», dicono. Devono rientrare in carcere entro le 20.30. «E’ venuto tante volte lui da noi, stavolta siamo venuti noi da lui». Si cercano volti noti e ci si incanta davanti agli ignoti. Tre mignotte - «scriva mignotte, eh, non scriva prostitute» - si beano del primo sole estivo che le bacia in fronte. «Lo conoscevamo, sì sì, ci chiamava puttane e ci trattava da esseri umani». Piangono i trans coi loro cagnolini al guinzaglio. Piange Francesca Mambro, ai suoi tempi terrorista dei Nuclei armati rivoluzionari. «Marco era uno che parlava coi grandi e con gli ultimi, allo stesso modo». I rom stendono un lenzuolo su cui è scritto che anche loro appartengono al genere umano. I nudisti ricordano chissà quali battaglie comuni. I ragazzi e gli uomini e le donne in carrozzella ascoltano sotto i gazebo, e forse oggi si può scrivere che ci sono gli storpi e i deformi. Sudano aggrappati alle stampelle.

Ora, però, non vorremmo avervi dato un’idea sbagliata. L’inizio del funerale laico era stato così, da groppo in gola, l’applauso infinito, gli archi strazianti del Requiem incompiuto perché Mozart morì troppo presto, e perché incompiuta è ogni esistenza. La voce barcollante dell’ex segretaria del partito, Rita Bernardini. Le immagini d’archivio trasmesse sul maxischermo come sommario di una carriera tumultuosa e rapsodica, i volti e le parole di Leonardo Sciascia, Domenico Modugno, Giorgio Albertazzi, Vasco Rossi, la mai placata Emma Bonino che ringhia spiazzante per la «puzza di ipocrisia di alcuni omaggi», come se non fosse la regola. La bara coperta con la bandiera del Tibet e con sopra appoggiata la chiave di Teramo, la città in cui Pannella era nato nel 1930. Ma, ecco, non è stata una giornata di lacrime e commozioni e chissà quali alte simbologie, o almeno non soltanto: Carlo Loffredo, con la Dixieland band, ha messo i suoi novantadue anni e il contrabbasso sul palco per suonare Fiorin Fiorello, non proprio musica funebre, e pure Hell Dolly di Louis Armstrong, e When the Saints Go Marching In, sulle cui note si ballava ai funerali dei neri, e Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno. 

Una sarabanda. Un andirivieni infinito di migliaia di persone. L’intera dirigenza radicale. Quelli di una volta: Francesco Rutelli che propone un convegno all’anno sui temi di Pannella, «e non basteranno cent’anni», Roberto Giachetti armato dei migliori aggettivi. Un rappresentante di Rebibbia - quante corone di fiori dalle prigioni, pagate e inviate dai detenuti - che dice noi eravamo come voi e un giorno saremo di nuovo come voi. Una deliziosa ministra Marianna Madia, sola, appartata, confusa nella folla, che ricorda «lo sguardo, era la cosa che mi piaceva di più, c’era dentro la sua generosità». Maurizio Gasparri che omaggia un avversario. Gennaro Migliore, ex di Rifondazione comunista e ora sottosegretario del Pd, sempre più trasversale a tutto che annuncia al popolo l’iscrizione ai radicali. Sergio D’Elia, nel millennio scorso in Prima linea, che sale e scende dal palco e abbraccia i più tristi. Vecchi compagni che si rivedono dopo decenni e si rinfrescano le memoria. Adriano Sofri che resta ai margini. Gabriele Paolini che, reduce da una recente carriera porno e da una lunga detenzione per violenza sessuale, disturba ancora i giornalisti televisivi ma con un suo nuovo contegno. Matteo Angioli, che con Laura Hart ha assistito Pannella fino all’ultima notte, quando i dolori erano ormai insopportabili e di questo Marco si scusava. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che si ripromette di proseguire la battaglia per la dignità nei penitenziari. Luigi Manconi che annuncia provvedimenti per l’amnistia e porteranno il nome di Pannella. Le bandiere americane e israeliane. L’epitaffio di Marco Cappato: «Diceva che non dobbiamo avere speranza, dobbiamo essere speranza». Adesso è il momento di cominciare.