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 2016  maggio 21 Sabato calendario

A Cannes va in scena il gelo tra gli ex innamorati Charlize Theron e Sean Penn

Salvate il soldato Penn. Per dirigere il melò The Last Face si è messo l’elmetto ed è andato in Liberia sovrapponendo alla efferata guerra civile una storia d’amore con troppo zucchero tra la sua ex Charlize Theron e Javier Bardem, lei assistente umanitaria, lui medico che opera sotto le bombe. Il film, benché pieno di buone intenzioni, è stato accolto molto male, qualcuno l’ha definito il peggiore tra quelli in gara, quest’anno piena zeppa di celebrità non ispirate.
In sala c’è stato un fuggi fuggi che si è ripetuto più volte dopo alcuni dialoghi piuttosto «primitivi» e lacrimevoli, una specie di D-Day al contrario, uno sbarco sulla riva sbagliata. Prima fuga, quando Charlize dichiara: «Non voglio salvare il mondo da sola». Seconda fuga, quando Bardem le dice: «So che un giorno ti rivedrò, nel deserto tra i leoni spunterà il tuo viso». Risatine di scherno e via.
Jean Reno, nella parte del dottor Love (ci si mettono pure i nomi a creare imbarazzo), dopo che Charlize non ha le idee chiare su cosa fare in zona di guerra, le chiede: «Insomma, resti o te ne vai? Prendi questa decisione del ca…». Sembrava una domanda rivolta agli spettatori.
La verità è che Sean Penn ha realizzato questo film al tempo in cui andava d’amore e d’accordo con Charlize: la storia è costruita su di lei, è un atto d’amore ma l’amore non c’è più. Dopo il gioioso tappeto rosso insieme dello scorso anno, la coppia è scoppiata. Sean e Charlize devono essersi lasciati male, per quello che si può capire in mezz’ora di conversazione con giornalisti da tutto il mondo. Siedono lontani, lui è vicino a Adèle Exarchopoulos, e come se non bastasse il suo personaggio ha contratto un virus. Lei è accanto a Bardem.
Quando parla lui, lei fissa il vuoto, e viceversa. Sean divo irregolare, Charlize disciplinata e controllata. Sean è teso, nervoso, irrigidito, la faccia di chi ha sempre voglia di spaccare le vetrine: «Questo film mi ha dato l’opportunità di vedere quello che succede nel mondo, in un luogo selvaggio. Anche l’entertainment è importante, purché non sia sinonimo di Donald Trump». Charlize è sicura di sé e sbrigativa: «Ho ammirazione e rispetto per chi lavora nelle organizzazioni umanitarie». Entrambi sono impegnati in attività benefiche, soprattutto lui che mette la faccia per raccogliere fondi destinati ad Haiti. Uno strano attore, metà pacifista e metà pistolero. Da una parte la passione per le armi e le scazzottate con i paparazzi, dall’altra gli appelli per sconfiggere la fame nel mondo. A Cannes ha portato il suo lato positivo.
L’unico che riesce a uscire da pensieri banali su un film banale è Bardem: «I nostri personaggi non sono degli eroi. Gli eroi sono le persone normali che si occupano di bambini e vanno avanti con orribili salari e orribili lavori».
In questo viaggio nella violenza africana più brutale e nella compassione umana ci sono i rifugiati, le imboscate, i bambini soldato e le bambine che in una lattina raccolgono acqua da una pozzanghera, i corpi carbonizzati, i figli costretti dai ribelli a puntare il fucile contro il proprio papà. C’è poco sangue per le trasfusioni e bisogna scegliere quale bambino salvare. E nel mezzo, Bardem fa il piacione con Charlize, tra continue scene al rallenti per dare enfasi a questa storia tutta lacrime e sangue. Altre celebrità Usa, come Allen e Spielberg, non hanno voluto andare in concorso.
Penn sì, ma non sa dare una risposta precisa: «Non so nulla degli altri film in gara. Posso però dire che essere stato presidente di giuria qui a Cannes è stata una grande esperienza». D’accordo, alla prossima.