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 2016  maggio 20 Venerdì calendario

«Prova a fa’ sto matrimonio e ti rompiamo il culo, bello». Così dissero i «coatti» a Don Abbondio nei "Promessi sposi in poche parole" per far avvicinare i ragazzi alla letteratura. Bah

A Torino, al Salone del libro, ho trovato La coscienza di Zeno in poche parole (Einaudi Ragazzi), e mi ha ricordato Sull’orlo del precipizio di Antonio Manzini, dove a casa di uno scrittore, per occuparsi del suo libro, si presentano Aldo e Sergej, due redattori della sua casa editrice che ha appena cambiato proprietario che si sono già occupati dei Promessi sposi e di Guerra e pace. Di Guerra e pace han fatto un’edizione senza le parti noiose, «solo 300 pagine», dei Promessi sposi una versione per «avvicinare i ragazzi alla letteratura». Allora l’inizio: «Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e golfi, eccetera» diventa: «Quel pezzo di lago in provincia di Como (città di 85 mila abitanti, situata in Lombardia dove nacquero Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane e Alessandro Volta, l’inventore della pila), che davvero non si incula nessuno, sperduto in mezzo a montagne lunghe lunghe, pieno di insenature e golfi, si restringe all’improvviso e, toh, sembra quasi un fiume!». C’è poi l’incontro «fra i coatti e don Abbondio». «I coatti?», chiede lo scrittore. «I Bravi, dài. “Questo matrimonio non s’ha da fare...”. Ma chi parla così? Ora, invece, senta che meraviglia: “Prova a fa’ sto matrimonio e ti rompiamo il culo, bello». È un’altra cosa. È così che i giovani si avvicinano alla letteratura».
Tornato da Torino, ho ripreso Svevo e sono andato a vedere la fine, che fa così: «Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà allora un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa entrerà nei cieli priva di parassiti e di malattie». La coscienza di Zeno in poche parole invece (riscritta da Paola Capriolo) finisce così: «Poi un altro uomo, anche lui come gli altri ma un tantino più ammalato, deciderà di servirsene e la terra esploderà, tornando a errare muta e deserta nei cieli sotto forma di nebulosa. Soltanto allora, quando non ci sarà traccia di vita, sarà debellata anche la malattia, perché la vita stessa, finalmente l’ho capito, è malattia, malattia mortale, e con buona pace del dottor S. proprio non sopporta di essere curata».
Che è un finale dove c’è qualcosa in più, mi sembra, invece di qualcosa in meno; se bisogna ridurre, ho pensato, l’ideale sarebbe trarre dei libretti dai Fincipit, l’idea di Alessandro Bonino e Stefano Andreoli che consiste nel prendere un inizio di un romanzo (o poesia, o canzone) e farlo finire subito. «Chiamatemi Ismaele. “Ismaeleeee!”»; «Una rotonda sul mare, è mia sorella che nuota»; «Respiri piano per non far rumore o sei proprio morta?»; «Chiamatemi Ismaele, che a me vede il numero e non mi risponde»; «Ho visto le menti migliori della mia generazione e ho pensato “Ah, andiam bene”»; «Tutti ormai lo chiamavano don Ciccio. Anche se il suo vero nome era Ismaele».