la Repubblica, 20 maggio 2016
Scamarcio è arrabbiato perché il suo film sta incassando pochissimo
Riccardo Scamarcio è contento e arrabbiato. Contento perchè Pericle il nero, tratto dal romanzo di Giuseppe Ferrandino, firmato da Stefano Mordini, è stato presentato e applaudito alla prestigiosa sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes. Deluso perché la creatura cinematografica a cui ha lavorato tre anni e che ha prodotto con Valeria Golino, ha incassato solo 98mila euro nei primi quattro giorni di uscita.
Scamarcio, perché non siete andati in sala nei giorni del passaggio a Cannes?
«Non volevamo sfruttarne la cassa di risonanza. Ci piace vincere difficile: infatti è andata male... Sarebbe ipocrita dire che non ci dispiace, quando un film non incassa. Certo è un film particolare, ma non è dark. È una storia d’amore, racconta la parabola di un uomo che impara ad amare».
Un progetto a cui ha lavorato tre anni...
«Ho letto questo romanzo nel 2004, sono rimasto folgorato dalla singolarità del personaggio. Ho capito che poteva diventare un noir, un film nervoso che viaggiasse sulla tensione. Ma che regalasse anche la possibilità di scoprire questo personaggio. All’inizio sgradevole, è uno che di mestiere “fa il culo alla gente”. Ma poi capace di compiere un percorso di emancipazione. Tutto il viaggio di costruzione del film è stato caratterizzato da alti e bassi. Ogni volta pensavamo che era finita. Quando ci ha dato buca un co-produttore belga: ci siamo disperati. Poi qualcosa si è sbloccato. Anche di essere chiamati a Cannes non ci speravamo più. Eravamo già depressi. Io e Stefano Mordini sembravamo due fantasmi, io a Parigi a girare il film francese su Dalida. Quando è arrivata la telefonata avevamo talmente abbandonato le speranze che pensavamo a un scherzo».
Avete avuto come co-produttori i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne.
«Hanno creduto in questo progetto. Stefano Mordini ha avuto per primo l’idea di ambientare la storia non più a Napoli ma in Belgio e Francia. È stato un onore confrontarsi con due maestri come i Dardenne, e anche condividere parte della loro troupe che è una specie di famiglia. Combacia con il nostro modo di lavorare con la società fondata da me, Valeria e Viola Prestieri. Questo film è stato scritto da Valia Santella e Francesca Marciano che avevano scritto Miele e scriveranno anche il prossimo film di Valeria, ancora su un argomento difficile. Condividiamo la stessa idea, un po’ anarchica, di fare cinema».
Quale?
«In troppi, nel mondo, seguono le leggi del marketing, individuano il target da colpire. Secondo me sono regole che non funzionano. Condizionano solo la creatività, creano prodotti industriali. Questo consumo di cinema in fondo è privo di quelle vitamine biologiche, selvatiche che noi cerchiamo nel cinema che vogliamo fare, cerchiamo le verdure spontanee, che ci fanno stare bene».
In Italia?
«Il gusto del pubblico è cambiato, dobbiamo prenderne atto. Io giro ogni tipo di film, anche commedie sentimentali che incassano e che spesso mi aiutano a produrre opere in cui credo davvero. La varietà del cinema è importante. Ma bisognerebbe dare attenzione anche a chi tenta nuove strade. A chi rischia, come facciamo noi. Gli spettatori amano film rassicuranti e consolatori, a noi invece non piacciono film rassicuranti e consolatori. Certo che li faccio, come attore. Ma se devo impiegare tre anni di passione, tempo, fatica, impegno, vorrei farlo per qualcosa di più controverso e scomodo. Che faccia parlare, riflettere, discutere».