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 2016  maggio 20 Venerdì calendario

Breve storia di Equitalia, da Tremonti a oggi

In principio c’erano gli esattori. E non era un bel sistema: nella migliore delle ipotesi a gestire la riscossione per conto dello Stato era il sistema bancario. I grandi istituti, dal Monte dei Paschi al Credito Italiano alla Comit al San Paolo, riscuotevano un aggio, cioè una percentuale sui ruoli, che negli Anni Novanta arrivava fino al 9 per cento, ma la raccolta non superava il 5-6 per cento del carico aggredibile. Soprattutto al Sud andava peggio: i piccoli concessionari privati dell’esazione erano spesso in mani come quelle dei Salvo in Sicilia. In altri casi, come avvenne per Tributi Italia, ci fu chi scappò con la cassa delle imposte dovute allo Stato.
In questo clima, dopo anni di dibattiti e controversie, il governo Berlusconi, con l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, senza l’ostilità del centrosinistra, creò nel 2005 la Riscossione spa: una società pubblica, controllata per il 51 per cento dall’Agenzia delle entrate e per il 49 per cento dall’Inps, cui spettava il compito di recuperare i tributi non pagati su tutto il territorio nazionale. Inglobò i 40 concessionari privati e due anni dopo cambiò nome in Equitalia.
Si è molto discusso, soprattutto da quando Equitalia è entrata nell’occhio del ciclone, a chi andasse attribuita la paternità. Ma oggi tutti concordano che la sua nascita fosse matura da tempo e costituisse quasi un atto dovuto. «Non ci fu un padre, il vecchio sistema non era più sostenibile», racconta il tributarista Raffaello Lupi. «Noi non eravamo contrari, anche se la riforma del 2005 è rimasta in mezzo al guado», rievoca il deputato del Pd Marco Causi.
Il vero deus ex machina fu tuttavia Attilio «Artiglio» Befera, il direttore dell’Agenzia delle Entrate, collaboratore di Tremonti e del ministro del centrosinistra Vincenzo Visco, che lavorò giorno e notte all’organizzazione della nuova spa: per un periodo di tempo cumulò addirittura i due incarichi. I dati del successo dell’operazione sono stati riferiti dall’attuale amministratore delegato Ernesto Maria Ruffini, impegnato in un’opera di «umanizzazione» dei rapporti con i contribuenti, in una recente audizione parlamentare: le società private, prima del 2005, incassavano in media 2,9 miliardi all’anno, con Equitalia oggi la media è salita a 7,7 miliardi.
Ma in mezzo a questa storia c’è la drammatica crisi della finanza pubblica italiana e la difficoltà congenita del Paese nello stanare gli evasori. L’obiettivo è colpire «a valle» se non si riesce «a monte»: così gli strumenti in mano ad Equitalia, con un «picco» nel 2010 quando tornano al governo Berlusconi e Tremonti, diventano micidiali. Equitalia può pignorare la casa di abitazione, può sequestrare l’auto e i beni strumentali (magari il camioncino delle consegne), può entrare in banca, bloccare il conto corrente e inserirsi sullo stipendio.
Per artigiani, piccoli commercianti, imprenditori del Nord Est, già colpiti dalla recessione al culmine con il caso greco tra il 2010 e il 2012, la situazione diventa devastante e tragica. «Puoi avere un signore, puoi avere un re, ma l’unico uomo che devi temere è l’esattore delle tasse», dicevano i sumeri. La profezia dell’iscrizione del terzo millennio avanti Cristo si rovescia con tutta la sua forza nel biennio 2012-2013 quando si contano 238 suicidi attribuibili in un modo o nell’altro a motivazioni economiche. L’artigiano che si dà fuoco nel 2012 a Bologna di fronte ai locali uffici tributari non lascia dubbi interpretativi. La Spoon River di coloro che vengono stritolati dall’angoscia dei pignoramenti è lunga: scatta la rivolta con le Molotov contro le sedi di Equitalia.
I tempi erano maturi per cambiare, nel 2013 fu il governo Letta ad alleggerire decisamente gli strumenti della riscossione: scompare la pignorabilità della prima casa, vengono posti limiti al sequestro di stipendio e beni strumentali. Renzi e Padoan intervengono nuovamente negli ultimi due anni rendendo più facile l’accesso alla rateizzazione che oggi può arrivare fino a 120 rate.
Tuttavia il nome è ormai è diventato sinonimo di sventura e vessazione. Renzi, attento agli umori, vuole cambiare. La riforma è dietro l’angolo.