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 2016  maggio 20 Venerdì calendario

Gli aeroporti sono ancora troppo insicuri

Il giro di vite europeo sulla sicurezza aerea, evidentemente, è servito a poco. La Ue ha alzato il livello di allarme negli aeroporti un gradino sotto il massimo dopo l’assalto allo Zaventem di Bruxelles del 22 marzo, aumentando del 50 per cento i controlli ai passeggeri. La polizia di Parigi – dopo aver scoperto che la cellula islamica del Bataclan aveva nel mirino il Charles de Gaulle e Orly – ha avviato indagini a tappeto su tutti i dipendenti degli scali della capitale (ben 85mila!) titolari di un badge per l’accesso alle aeree “sensibili”, revocando i permessi a 70 persone «sospettate di radicalizzazione».
La tragedia dell’MS804 però, se sarà provata l’ipotesi di terrorismo, conferma quello che molti esperti di intelligence sospettano da tempo: blindare le cabine, mettere i vigilantes a bordo, potenziare scanner, rilevatori d’esplosivo e cani-poliziotto per controllare bagagli e passeggeri (magari fuori dall’aeroporto come capita al Ben Gurion di Tel Aviv) non basta. Il nuovo ventre molle della sicurezza aerea è a terra, tra quelle migliaia di addetti ai bagagli, contractor, responsabili delle pulizie e del catering che lavorano attorno agli apparecchi tra un volo e l’altro. Un universo di lavoratori – sempre più spesso precari e di ditte esterne – in grado di salire a bordo, entrare nella stiva e maneggiare valigie senza essere sottoposti agli stessi check rigidissimi imposti ai viaggiatori. Le falle della security in questa area grigia sono, cronaca alla mano, ancora enormi: soltanto tre aeroporti Usa su 300 passano ai raggi X i propri dipendenti quando iniziano a lavorare, ha accertato la Transportation Security Administration (Tsa). E un’indagine di Capitol Hill ha scoperto 73 lavoratori di scali americani «sospettati di legami col terrorismo». Il charter russo della Metrojet esploso in volo sul Sinai lo scorso ottobre – sostiene il rapporto di Mosca – sarebbe stato abbattuto da qualche etto di Tnt in una lattina di Schweppes, introdotta a bordo da un addetto dello scalo del Cairo. Il ministro dei trasporti belga Jacqueline Galant ha dato le dimissioni per aver ignorato le accuse della Ue sui buchi nella security di Zaventem, specie nei servizi a terra.
Le regole per vigilare sui dipendenti che lavorano attorno agli aerei al suolo, in teoria, ci sono e sono rigide. Il Congresso Usa, scottato dai risultati delle inchieste interne, ha appena approvato una legge che dà alla Tsa accesso alle banche dati dei servizi segreti e irrigidisce i criteri per l’accesso alle aree sensibili degli scali. L’Europa obbliga i titolari di questi pass a controlli identici a quelli dei passeggeri. E i permessi (anche quelli giornalieri per esterni) devono essere approvati dalla polizia. «Sono controlli seri, richiedono una settimana e non si limitano certo a un’occhiata a casellario giudiziario e fedina penale», assicura uno dei massimi esperti di intelligence aeronautica italiana. Come dire che le persone «a rischio di radicalizzazione», in teoria, non dovrebbero passare questi filtri.
I problemi però, sostengono gli 007, ci sono lo stesso: le norme Ue, per esempio, non contano i reati contro il patrimonio tra i precedenti che inibiscono l’accesso in pista o tra i bagagli. Aprendo così la porta a potenziali delinquenti comuni. Molti dei contractor o dei fornitori esterni poi – a volte persino gli assistenti di volo – sono precari. Gente che entra in aeroporto per pochi giorni ma impara a conoscerne geografia, segreti e punti deboli. Informazioni preziosissime per chi poi deve decidere come e quando colpire.
«Bisogna conoscere bene le persone che entrano in aeroporto per ridurre al mimino i rischi», dice Francesco D’Arrigo, direttore del Centro di studi strategici Niccolò Macchiavelli. Altrimenti la sicurezza dei cieli rischia di essere venduta al miglior offerente.