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 2016  maggio 19 Giovedì calendario

Per fortuna Corrado Guzzanti è tornato

Anni pieni di abissi e noia senza fondo. Anni di paroloni, autoreferenzialità, nevrosi, rancori, invidie, pensosi dibattiti, libri recensiti come capolavori e rimasti tristemente invenduti. Anni di disamori e disillusioni, mogli fedifraghe, collaboratori servili, comparsate televisive ed elitarismi vacui e arroganti. Anni di terzomondismo ipocrita in cui il senso di colpa spinge a confondere badanti dell’Est per novelle Emily Dickinson e il conformismo è un latifondo da innaffiare stagione dopo stagione. Anni – i nostri – di riserve indiane in cui trincerarsi per paura del volgo, convinti di stare dalla parte giusta della luna – una luna politicamente rossa – fino a una sera fatale. Autostrada, esterno notte.
La voce, fuori campo, è quella di Corrado Guzzanti, tornato dopo tre anni di assenza su Sky Atlantic dal 25 maggio (quattro puntate) per dare forma a uno dei suoi sdoppiamenti più riusciti. Nell’incipit di Dov’è Mario?, regia di Edoardo Gabriellini, produzione di Lorenzo Mieli e Mario Gianani per Wildside, scrittura, feroce e acuta dello stesso Guzzanti e di Mattia Torre, Mario Bambea (Guzzanti) ragiona a voce alta: “Trattato sull’emendazione dell’intelletto, ecco come si chiamava quel libro che cercavo di ricordare e non mi ricordo mai. E com’era quella canzone? Com’era il ritornello? Poi saliva di un’ottava”. Distrazione, stanchezza, camion, fari, incidente. Necrologi anticipati, nei telegiornali e nei talk show: “Il noto filosofo e opinionista Mario Bambea è in fin di vita”. Il pensatore (paraculo) “che si impone precocemente in un mondo, quella della sinistra degli Anni 90 in continua transizione e trasformazione”. Lo scrittore che vinse il Premio Strega e vide trasformare implacabilmente il suo libro in un film di Veltroni. L’uomo “che Giorgio Napolitano definì di ‘esasperante coerenza’”.
Tutto è pronto per inchiodare bara e ricordo, ma Bambea sopravvive, si risveglia, si sottrae al “coccodrillo” e scopre l’altro da sé. Ecco allora Bizio, alter ego volgarissimo di Bambea. Neo comico esordiente, finalmente liberato dall’equivoco della forma e degli abiti da intellettuale, ora Bambea trasformatosi in Bizio ruba nome, parte e camerino a un disgraziato di nome Capoccetti (Saverio Raimondo) e si esibisce clandestinamente in un teatrino sotto casa. In fogge e sostanza così simili a quelle di Alvaro Vitali che nella Baccafonda del felliniano Roma sapeva come muoversi sul palco e quali corde toccare per affrontare un pubblico ostile incline – se la prestazione non persuadeva – a lanciare gatti morti sul palco.
Bizio-Bambea sembra conoscere il meccanismo e il segreto per dominare le fiere in platea restituendo al pubblico adorante un armamentario tutto scatologia e doppi sensi che avrebbe fatto inorridire Bambea e che non termina (“I rumeni – dice fuori dalla scena – sottraggono lavoro ai comici italiani”) a spettacolo concluso.
Il Vitali del maestro Federico conosceva i trucchi per uscirne non solo indenne, ma trionfante. Bizio non è diverso e incarna le ragioni di un manifesto esistenziale – ben oltre il politicamente scorretto – che si alimenta di luoghi comuni e sa parlare – si sarebbe detto un tempo – alla pancia del Paese. Il Bambea sdoppiato, l’istituzionale e il convalescente che in pigiama, con l’ausilio di una pingue badante di Bucarest, fugge dal letto per intrattenere un pubblico che dal salotto buono è escluso per convenzione, è un esperimento esilarante. Uno specchio in cui riflettersi. Un viaggio – sembrano suggerire Torre, Guzzanti e Gabriellini – che disvela il mostro compresso, irregimentato, tenuto a bada che è dentro ognuno di noi.
Nella televisione di retroguardia in cui inizia a farsi conoscere Bambea e i comici pugliesi strappano risate a forza di pance deformate e peti, nei teatri di posa in cui gli assistenti di studio ammoniscono: “Qui puoi dire culo, frocio e cazzo, non siamo la Rai, ma non esagerare, altrimenti fanno chiudere pure noi” e nelle radio “culturali” in cui Bambea discute con altri eletti di massimi sistemi.
Proprio come nelle gabbie televisive evocate in Sogni d’oro di Moretti, il giorno del giudizio, per chi non ha avuto curiosità e ingegno, sembra arrivato. Sembra. Ma forse è solo un’illusione ottica. Fuori dalla gabbia, per inventare qualcosa di inatteso – come sempre – è uscito Guzzanti. Che guarda in anticipo e più lontano degli altri.
Che sa rider, far ridere e piangere solo in sua assenza. E che come il Gigi Proietti di ieri: “Signore preservami dai contenuti, salvami dal significato, fulminami se fossi colto dalla tentazione del messaggio”, si è sempre tenuto lontano dalle lezioncine e dalle tautologie. C’è Renzi? Forse sì. Forse no. Non importa. Ma se ci fosse, se mai ci fosse, sarebbe in buona, larga, nutrita compagnia.