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 2016  maggio 19 Giovedì calendario

L’uomo che salva le rane in Valle d’Aosta

Il loro gracidare sfida il silenzio notturno, a volte il ticchettio delle piogge di primavera. Sgraziato canto di un esercito saltellante che l’istinto chiama ai luoghi d’origine. Le rane non conoscono ostacoli, seguono la via piantata nella loro memoria per raggiungere lo stagno dove si schiuse il nugolo di uova nere depositate dalle loro madri. Il luogo più sicuro che conoscono per riprodursi e ricominciare un viaggio di generazioni. Ma il ritorno è pieno di insidie. E là dove attraversano strade rane e rospi vengono decimati dalle auto. In Valle d’Aosta c’è un uomo che le salva: va da più di vent’anni a raccoglierle, prima che a balzi raggiungano l’asfalto.

I luoghi comuni

Si chiama Ronni Bessi, erpetologo dipendente della Regione. Studioso e divulgatore. Prende a prestito letteratura antica, mitologia, leggende e favole per sfatare luoghi comuni di creature tacciate di essere «figlie del demonio». Dice: «Fino a qualche anno fa ero considerato un perditempo che passava le notti a inseguire rane. Un mezzo matto. Adesso la notte che salviamo rane, rospi e girini è prenotata. Quest’anno in cento hanno chiesto di partecipare alla prima notte di pioggia di primavera, la “notte degli gnomi”». Bessi reinterpreta il canto delle rane e quello di Omero in una moderna «Batracomiomachia», la guerra tra rane e topi trasformati in pneumatici delle auto. E i bambini fra leggende, versi e racconti scoprono il mondo degli anfibi, la loro utilità. «Niente topi, anche se i più piccoli possono finire in bocca a un rospo – dice Bessi -. Animali che mangiano per l’intera notte e in Inghilterra sono un presidio per ogni orto. Guardiani di insalata e verdure, altro che demoniaci». E c’è posto per il mistero della metamorfosi, quella che per Ovidio era la spiegazione del mondo e per Kafka l’incubo della vita che si ripete ogni giorno, simbolo dell’angoscia, ma per le rane è la trasformazione verso una vita adulta. Da minuscolo uovo, nera capocchia di spillo, a girino, cui cade la coda e spuntano le zampe. La rana, appena più grande di un’unghia lascia il mondo acquatico per quello terrestre. «I bambini sono affascinati da questa doppia vita – dice Bessi -. E noi salviamo i girini da morte certa, come quelli nati nelle piscine che poi vengono svuotate. Quindi salviamo gli anfibi che tornano ai loro stagni». Rane, rospi e salamandre sono essenziali per l’equilibrio ambientale. Qualche anno fa il governo indiano vietò per un lungo periodo l’esportazione di rane. Quel florido mercato di anfibi aveva fatto aumentare in modo smisurato le zanzare e i casi di malaria si erano decuplicati. Rane e soprattutto rospi, come i serpenti, sono stati considerati nocivi.
Il passaggio
Dalla sacralità d’un tempo si è passati a definirli forze del Male. «Metamorfosi culturale, erano diventate creature infernali – spiega Bessi – per poterli sottrarre al mito. I rospi si pensava fossero i messaggeri dell’acqua, quindi preziosi. Poi sono diventati velenosi, la loro urina accecava. In realtà, quando un predatore li afferra con la bocca secernono un liquido amaro e si salvano. Di qui il modo dire “sputa il rospo”». È così anche per le salamandre, che nel patois valdostano sono chiamate «lucertole della pioggia». L’erpetologo: «Queste rane con la coda il Medioevo le raccontava come figlie del fuoco. In un rito di fondazione delle case le salamandre erano evocate per preservare l’abitazione dagli incendi».
L’oggi tradisce ogni paradossale proverbio sugli anfibi, ma grazie alla scienza offre favole nuove e l’erpetologo Bessi pesca dal sapere antico quella metamorfosi irreale che vuole i rospi gnomi, le farfalle e le libellule fate e gli scoiattoli folletti.