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 2016  maggio 19 Giovedì calendario

«Ci vuole un po’ di presunzione per considerare che siamo meglio del mondo che vuole distruggerci». Michel Houellebecq, sempre lui

«Per criticare il mondo è sufficiente descriverlo il più obiettivamente possibile». Michel Houellebecq racconta la sua ermeneutica con una semplicità disarmante. «Qualcuno crede che io faccia una parodia delle situazione, non è vero. Poso il mio sguardo sulla realtà, senza pregiudizi. Il vero pericolo è nella vita ordinaria». Dal turismo sessuale all’eugenetica, dalla mercificazione del corpo allo scontro di religione, l’opera di Houellebecq è un «banale lavoro di osservazione», secondo le sue stesse parole, con accenni profetici come si ritrovano anche nella mostra “Rester Vivant” presentata ieri a Parigi al Palais de Tokyo: un percorso di oltre duemila metri quadri che riassume il suo universo creativo attraverso fotografie, video, installazioni.
Le polemiche degli ultimi tempi, con la pubblicazione di Sottomissione, sembrano lontane nel museo di arte contemporanea anche se Houellebecq non rinuncia a qualche graffio sull’attualità come quando mostra la fotografia scattata nel 1996 a Calais, terra di frontiera oggi simbolo della crisi dei profughi. Sull’immagine si vede la scritta in cemento “Europe”, nome di un centro commerciale nella città portuale, sopra a un parcheggio senza automobili. Un paesaggio desolato. «Già allora si poteva immaginare che l’Europa non sarebbe andata tanto bene» ironizza lo scrittore che vent’anni fa ha anche fotografo il tunnel sotto la Manica oggi diventato una fortezza dove alcuni migranti sono morti tentando di passare nel Regno Unito.
Il romanziere arriva al Palais de Tokyo con il suo immancabile zaino, osserva da fuori il manifesto della mostra dove troneggia il suo amato cane Clément, già personaggio in La Possibilità di un’isola, al quale è ora dedicata una sala intera con foto ricordo e una canzone di Iggy Pop. Houellebecq esamina, verifica gli ultimi dettagli del percorso che sarà inaugurato tra poco più di un mese. È uno degli eventi artistici dell’anno perché lo scrittore francese più famoso al mondo ha centellinato le apparizioni dopo la pubblicazione del suo romanzo che parla di una Francia nell’anno 2022 governata da un partito islamico, uscito in concomitanza con gli attentati di Charlie Hebdo. Da allora Houellebecq è stato messo sotto scorta, la sicurezza è rafforzata nel museo con la sua presenza.
Per il romanziere è anche un ritorno alle origini. “Rester Vivant” è stato il primo libro di Houellebecq, “una serie di ingiunzioni a un poeta”, pubblicato nel 1991 dalle Editions la Différence specializzata nei libri d’arte. Perché restare vivi? «Ci vuole un po’ di presunzione per considerare che siamo meglio del mondo che vuole distruggerci» risponde. La mostra offre un percorso multidisciplinare tra fotografia, letteratura, cinema. Il confine tra realtà e finzione si dissolve lentamente.
Con la fotografia lo scrittore ha un legame antico, menzionato spesso nei suoi romanzi. All’ingresso il visitatore è posto davanti a una scelta: «Il est temps de faire vos jeux», è il momento di fare i vostri giochi, un verso scritto su cielo cupo, preceduto da un suono “vagamente inquietante”. Segue un giardino rigoglioso, che rappresenta il “pericolo vegetale”, e altre fotografie scattate in Francia, orizzonti urbani di miseria dove si ritrova il confronto tra l’uomo e la natura. «Una partenza plumbea, non sprovvista di radicalità, attraverso l’immersione irremissibile nel reale» commenta Houellebecq che anche in questo caso rivendica la sua «apparente neutralità».
Andando avanti nelle sale si ritrovano molte delle idiosincrasie del romanziere, come il turismo di massa, con immagini scattate sulle spiagge in Spagna o nei parchi di animali della Tailandia. Poi ci sono risonanze magnetiche, esami medici che Houellebecq ha dovuto fare negli ultimi due anni. La sequenza è aleatoria, si presta a divagazioni, esercizio più arduo in letteratura. «Spesso ho pensato di introdurre biforcazioni, opzioni narrative, in un romanzo. Non sono il primo ad aver tentato, né ad aver fallito».
L’aspirazione massima è avvicinarsi a una seconda dimensione, continua, che risulta «incompatibile con il filo della temporalità, irraggiungibile dunque nei limiti della nostra arte». L’equilibrio tra piani narrativi più o meno dominanti talvolta si può capovolgere come succede nella poesia definita da Houellebecq con la bella espressione «apriscatole universale».
Houellebecq si confessa sulle donne che ha amato con una serie di ritratti femminili e il cortometraggio di erotismo saffico da lui girato La rivière. È uno Houellebecq meno politico e più intimo quello che affiora. La fine della mostra diventa «evanescente, una spirale di scomparsa individuale». Appare il verso di una poesia: «Nous habitons l’absence», abitiamo l’assenza. Dall’insieme, conclude lo scrittore, dovrebbe sprigionarsi una «romanticismo crepuscolare intrusivo».