la Repubblica, 19 maggio 2016
L’arte di costruire giostre. Tappa nel polesine, a margine del Giro d’Italia
BERGANTINO (ROVIGO)
Quando lo hanno montato per provarlo sul piazzalone dietro la fabbrica, non ci credevano neanche gli operai. Si chiama The King. Un pendolo immane con una specie di ruota da una parte, e quattro navicelle oscillanti e rotanti ai lati. Viene da vomitare anche solo a scriverlo, figurarsi a farci un giro. Poi ci sono gli aerei che guidi tu, roba che quegli altri, dove tiravi soltanto la leva per sollevarli in aria e giravi il volantino, sono puro medioevo. Ma l’attrazione più estrema di tutte, dice Fabio Martini che l’ha inventata, costruita e venduta in mezzo mondo, è Ejection Seat. «Vien che te mostro». Fabio smanetta sul pc e compare il filmato: una specie di enorme palla sparata in aria come il sasso da una fionda. «Piace da matti, ma io non ci salirei neanche morto», dice colui che l’ha creata.
Due grumi di case, un campanile color senape, l’odore di pesciolini fritti sul banco del mercato. Bergantino, 2.500 anime malcontate. Melara, 1.800. È il cuore del Distretto polesano della Giostra, uno dei 17 distretti di eccellenza veneti. Che vuol dire 70 imprese che fabbricano divertimento, 500 addetti, 250 milioni di euro di fatturato annuo se si considerano pure i fuochi d’artificio. «Anche se oggi, veramente, si chiamerebbero spettacoli piro-musicali», ci spiega Franco Cestonaro, funzionario della Cna, la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa. Uno di quelli che hanno permesso che due piccoli comuni dalle parti di Rovigo diventassero le capitali planetarie della giostra. «Piro- musicali significa che i fuochi d’artificio vanno a tempo di musica, guidati dal computer. Qui si producono materiali, fuochi, coreografie e programmi. E poi le giostre, certo, ma anche tutto quanto serve per spostarle, compresi i caravan».
Erano terre di spigolatrici e contadini poverissimi, le loro vite se le mangiava il fiume nelle alluvioni. Solo i carriolanti si salvavano, perché spalavano via il fango dagli argini e lo caricavano sulle carriole. «Ma campavano sulle disgrazie di altri più disgraziati di loro». Poi, nel 1927 tre meccanici di bicicletta videro alla fiera del paese una delle prime autopiste elettriche, videro soprattutto che la gente pagava il biglietto in contanti e decisero di costruirne una. Si chiamavano Umberto Favalli, Albino Protti e Umberto Bacchiega, tenete a mente quest’ultimo nome. In capo a due anni portarono davvero la loro giostra alla fiera di Novellara, e cominciò un’epopea. Quella che ora continua nel lavoro di imprese come la Technical Park di Fabio Martini, sede a Melara attaccata a Bergantino come le automobili dell’autoscontro. Un centro direzionale dove i tecnici progettano, collaborando col dipartimento di robotica e meccanica dell’Università di Padova, mentre nel capannone gli operai montano sagome in vetroresina, seggiole, motoscooter, barre di sicurezza da abbassare che poi si vola.
«Il territorio è piccolo, il comparto industriale enorme», spiega Martini. «Abbiamo 30 dipendenti ma 250 fornitori per almeno 10mila giostrai. Qui diamo lavoro a 20mila persone senza contare autisti e corrieri». In un anno si costruiscono una trentina di giostre al massimo, tutti pezzi unici. Si chiamano, con grande suggestione, “giostre di vertigine”: la nuova frontiera è la realtà virtuale da sommare all’adrenalina, si sale sulla giostra con un visore sugli occhi e la simulazione è doppia. «Ma io, manco morto». Sul piazzalone si alzano al cielo due colonne bianche. «Stiamo montando una ruota panoramica di 60 metri che andrà in Kazakhstan». Il Polesine è terra di mani robuste e abili, uomini forti come bisonti e tenaci come formiche, contadine fragili ma indistruttibili. Eppure, anche qui sta cambiando tutto. «L’operaio specializzato non si trova più, a volte non riesco a rimpiazzare chi va in pensione». Pure il papà di Fabio Martini faceva l’operaio, oggi ha 75 anni. Si chiama Renzo. «Aveva il sogno di mettersi in proprio, nell’80 c’è riuscito ed è proprio contento di noi».
Ma questo è anche il paese dei “fieranti”, guai chiamarli giostrai: non vogliono essere confusi con certi tipi da galera che nei luna park coprono il denaro sporco. «Il mio bisnonno è stato il pioniere e io ne vado fiero», dice Alessandro Bacchiega, discendente di Umberto, uno dei tre meccanici della prima autopista. «Da tre generazioni siamo spettacolisti, insomma fieranti. Io, mia moglie Daniela e mio figlio Rubens che studia all’Itis da casa, perché la nostra casa viaggia 9 mesi all’anno. Abbiamo da sempre un autoscontro, servono 10 ore per montarlo, è una vita piena di sacrifici ma libera. A giugno saremo dal Papa che è la terza volta che ci riceve, ci ha detto che le giostre lo affascinano». Erano 105 le famiglie dei fieranti tra gli anni Settanta e Ottanta, ora ne rimangono più o meno 50. Li hanno sempre chiamati “i bergantini”.
«Al tempo della seconda guerra, con tutti gli uomini al fronte, furono le donne a tenere in piedi la baracca: presero la patente per i camion, imparando i lavori più massacranti.
Guardi un po’ che facce decise». Il professor Tommaso Zaghini, 83 anni di cui 40 passati a insegnare lettere alle medie, ci indica una parete del magnifico Museo Storico della Giostra e dello Spettacolo Popolare che dirige, qui nel cuore di Bergantino, sotto il campanile. E dal muro ci guardano visi tagliati col badile, camicioni neri, mani grosse e occhi di più. «Abbiamo condotto ricerche storiche e antropologiche, questo museo unico in Europa racconta l’evoluzione della giostra dalle fiere del Medioevo alle più moderne attrazioni. Alla fine, questa è una storia dell’uomo e del suo bisogno di altrove».
Ci sarebbe da restare qui per giorni, e ancora non basterebbero per ammirare i cavalli di legno e i burattini, il tiro all’orso e i modelli di ruota, gli organetti di Berberia e la pianola chiamata “spallone”, perché il musicante la caricava in spalla. Elvia, la giovane guida del museo, gira la manovella e la stanza si riempie di musica struggente, un precipizio nel tempo non privo di malinconia e dolore. Il professor Tommaso ci mostra le enormi scarpe del gigante Atlas, «un belga, era alto due metri e 40, abbiamo anche la giubba e il suo cappello», insieme a vecchie fotografie appese sullo scalone. Rappresentano la storia delle attrazioni umane, i cosiddetti fenomeni da baraccone che fecero la fortuna delle fiere e anticiparono l’epoca delle giostre. Ci sono la donna cannone, il fachiro con la lingua trafitta dagli spilli, la donna giraffa con il suo spaventoso collo e l’uomo con tre gambe: si chiamava Francesco “Frank” Lentini, era nato nel 1889 in Sicilia e morì nel 1966 a Jacksonville, Usa, perché nel frattempo era diventato un’attrazione del Circo Barnum. «Si narra che quando nacque, la levatrice lo avesse gettato a terra per lo spavento, gridando che era un ragno». A suo modo, poveretto, anche lui una giostra di vertigine.
(11- continua)