19 maggio 2016
In morte di Lino Toffolo
Maurizio Porro per il Corriere della Sera
Lino Toffolo, popolare attore, cabarettista, cantante, noto «ubriacone» nella tv anni 60, è morto lunedì sera a 81 anni nella sua casa di Murano per infarto, circondato da moglie e figli increduli, appena uscito dall’ospedale per una caduta. Nato il 30 dicembre 1934 nell’isola del vetro, dove era tornato felice da anni facendo il nonno per tutti, Toffolo, con la cadenza serenissima che gli suggeriva a teatro Goldoni e Ruzzante, iniziò a Radio Venezia, scrivendo jingle.
Temperamento trasversale, osservatore ironico, beffardo, goliardico della realtà che incartava nella sua dimensione bonaria dialettale, Toffolo aveva sfondato anche coi bambini, aiutato da un aspetto un po’ cartoon, con la canzone «Johnny Bassotto»; e coi grandi, al Cantagiro, con «Oh Nina». Il successo parte nel ’63 quando arriva al Derby di Milano, emigrante lagunare.
Si associa subito al momento di grazia a quella ditta Gran Cabaret alla milanese con Nebbia, Jannacci, Cochi, Renato, Lauzi, Boldi, Gaber che spopola prima nel locale, poi nelle domeniche Rai. Attivo al cinema in 25 film, si ritaglia personaggi sghembi, schizzati, ad alto tasso alcolico con Samperi che l’ha valorizzato al meglio ( Un’anguilla da 300 milioni, Beati i ricchi, Peccato veniale ), va alle Crociate col Brancaleone di Monicelli, penetra negli anni 30 di Risi dei Telefoni bianchi, lo scrittura Celentano per Yuppi Du e suona con Buzzanca nel Merlo maschio di Festa Campanile; è reclutato nella caserma folle di Sturmtruppen e poi nella Betìa di De Bosio e Un giorno in più di Venier, arrivando fino a qualche commedia scherzosa-pruriginosa.
Lo sfizio se lo toglie dirigendo nel 2006 da solo Nuvole di vetro, su un vetraio di Murano innamorato di una ragazza cinese. Il volto affabile diventa di famiglia nei varietà tv, conduce affabile «Casa mia», «Canzonissima» con Noschese e piazza spesso la sua classica macchietta dell’ubriaco, pezzo forte dei comici. Ma fa anche fiction con Banfi su terza età («Tutti i padri di Maria», «Scusate il disturbo»), con puntate teatrali da dicitore nell’opera ( Pipistrello di Strauss, Pierino il lupo di Prokofiev, Histoire du soldat di Stravinski, perfino Peer Gynt). Aveva un pubblico di tutte le età, i piccoli gli si affezionavano subito: lui ricambiava con l’affettuoso uso del dialetto, testimonianza delle sue radici.
Maria Pia Fusco per la Repubblica
Pochi giorni fa Lino Toffolo era uscito dall’ospedale, una frattura a un polso in seguito a una caduta, e aveva ribadito sul suo sito l’intenzione di «evitare per quanto possibile di abbandonare a breve questa valle di lacrime». Lunedì notte lo ha colpito un infarto - due anni fa aveva subito due interventi alle coronarie – ed è morto nella sua casa di Murano, dove era nato il 30 dicembre 1934, figlio di un maestro vetraio, e dove aveva vissuto tutta la vita. «Non me ne andrei mai da qui, a Murano metà sono parenti, metà sono amici, diceva. Lascia la moglie Antonia e tre figli.
Piccolo di statura, Lino Toffolo bello non era, ma con quei lineamenti buffi, lo sguardo intelligente e ironico, i toni scanzonati con cui giocava con la lingua veneziana, la simpatia era immediata. Giovanissimo recita in gruppi di dilettanti, poi entra nella Compagnia dei Delfini a Venezia, ma è al Derby di Milano, negli anni 60 punto d’incontro di grandi dell’umorismo (Jannacci, Cochi e Renato, Bruno Lauzi, ecc.) che la sua comicità si afferma. Una comicità particolarissima, stralunata, anarchica, surreale, che gli fa conquistare la popolarità con il personaggio dell’ubriaco, l’imbriago, in uno spettacolo Rai con Giorgio Gaber. È l’inizio di una carriera lunga 50 anni, in cui attraversa tutti i generi dello spettacolo. Cabarettista, attore, autore di canzoni, musicista, Toffolo era uno di quegli artisti di una volta, totali, in grado di affrontare Goldoni e conquistare il pubblico dei bambini con la canzone Johnny Bassotto, condurre quiz o Canzonissima e comporre brani d’autore come Gastu mai pensà, che Jannacci traduce e canta in italiano, Hai pensato mai.
Accanto alla tv, c’è il cinema. Debutta nel musicarello Chimera, tra i capricci amorosi di Gianni Morandi e Laura Efrikian, partecipa a decine di film di successo, lavora con Monicelli ( Brancaleone alle crociate), Festa Campanile ( Il merlo maschio) e ancora Samperi, Risi, fino a Il giorno in più di Massimo Venier dal libro di Fabio Volo del 2011. Sono ruoli da caratterista eccellente, segnati dal vernacolo, ma spesso indimenticabili come il perpetuo Serafino con Gigi Proietti nella fiction L’ultimo papa re. E forse per compensare i limiti imposti dal cinema, nel 2006 scrive, fa il protagonista e dirige il film in veneziano Nuvole di vetro. Il tempo non ha mai scalfito la magnifica autoironia di Toffolo, che nel suo sito ha scritto un’autobiografia che comincia così: «Avrebbe voluto nascere a Betlemme ma l’idea era già stata ampiamente sfruttata, cosicché ebbe i natali in una amena isola nella laguna di Venezia, Murano, che in tal modo ebbe un motivo in più per essere famosa nel mondo». Degli amici, lo ricorda tra gli altri Teo Teocoli: «Lino, vegne zò da basso, che te voio bèn».
Sandro Cappelletto per La Stampa
«Oh, Nina vien giù da basso / che te vogio ben». Prima cantando piano, quasi sussurrato; poi, sempre accompagnandosi alla chitarra, ripetendo la frase più forte e più veloce, e ancora e ancora, come dicono gli innamorati alla loro ragazza e di più se sono anche un po’ ubriachi.
Era fatale: iniziava lui da solo e al terzo giro - di chitarra e di «ombre» - eravamo lì a cantarla tutti, come capita quando un motivo semplice ti contagia senza sapere bene perché.
Addio Lino Toffolo: il cantante, attore di teatro e di cinema, versatile uomo di spettacolo, acuto testimone della storia e del presente della sua città amatissima, che lo riamava, è mancato nella casa di Mestre, a 81 anni.
Avrebbe preferito nascere a Betlemme, ma poiché - diceva - l’idea era già venuta tempo fa a qualcun altro, aveva optato per Murano; dopo un tentativo breve, anche per necessità famigliari, di lavorare in una vetreria, era stata la sede Rai di Venezia a dargli credito: Lino scrive le musiche, canta e recita a El Listòn, popolare trasmissione radiofonica in dialetto, quando parlare veneziano non significava rivendicare autonomie e indipendenze, ma ritrovare radici, libertà di associazioni verbali, di rime fantasiose, di ricordi infantili che diventano suono.
Da una città vivacissima
In quei primi Anni Sessanta, in una Venezia artisticamente vivacissima, entra a far parte della Compagnia teatrale dei Delfini. Toffolo si ritaglia il ruolo del proletario allegro e irriverente; mai Pantalone, piuttosto contemporaneo Arlecchino servo di nessuno e a cui quasi tutto è concesso. Il capello prima corto poi lasciato crescere in un ciuffo che cadeva sul davanti, lo sguardo liquido, ironico e dolce, mai aggressivo, mai volgare, era in verità un anarchico mite.
Eccolo cantare Addio Lugano bella, assieme a Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Otello Profazio, Silverio Pisu: cinque voci, cinque chitarre, tutti in giacca e cravatta, seduti su un divano. Interpretazione splendida, raccolta e nostalgica, non gridata, che piacque poco a Raiuno.
A quel tempo, Lino aveva già conosciuto una popolarità nazionale, dopo il debutto nel 1963 al Derby, il cabaret di Milano che sapeva lanciare i talenti comici. Erano poi venuti i numerosi film - spesso per la regia di Salvatore Samperi (Un anguilla da 300 milioni, Beati i ricchi, Peccato veniale, Sturmtruppen) e tra i quali vanno ricordati anche Brancaleone alle crociate di Mario Monicelli e Yuppi du con Adriano Celentano.
Frequenti le presenze televisive e di successo i libri, come Johnny Bassotto (altra sua celebre canzone) e A remengo. Molto teneva al teatro, con le interpretazioni di Goldoni e nel 1996 di La moscheta di Ruzante per la regia di Gianfranco De Bosio.
Veneziano da sempre e per sempre, vedeva intanto cambiargli davanti agli occhi l’antropologia di una città dove non ci sono più Nine da chiamare perché vengano «da basso».