La Lettura, 15 maggio 2016
I visionari che non ci sono più
verso famoso, Eugenio Montale, con tutta l’ironia e l’irriverenza dei grandi poeti, arrivò a formulare una specie di contabilità della frustrazione esistenziale. Nutriva, com’è noto, la sensazione di avere vissuto «al cinque per cento». Ma se il sentimento fugace di essere stati defraudati fin dalla nascita è tutt’altro che raro, bisogna subito aggiungere che la stragrande maggioranza dell’umanità non mostra di patire eccessivamente questa limitazione. L’abitudine e la necessità non fanno che intonare il loro canto di sirene: la vita che viviamo è l’unica vita reale, e si svolge nell’unico (se non il migliore) dei mondi possibili. Se sospettassimo in maniera sistematica delle apparenze, la nostra stessa capacità di esistenza sarebbe minata nelle fondamenta. È già abbastanza difficile vivere per mettere in conto una seconda nascita che ci metta in grado di accedere a qualche tipo di verità nascosta.
L’umanità può permettersi solo una sparuta minoranza di individui dotati di una «seconda vista», non importa se compatiti come pazzi o venerati come poeti o perseguitati come corruttori. Questa minoranza, inoltre, è composta da uomini solitari, sempre più soli via via che percorrono il loro sentiero di conoscenza. Raramente si conoscono fra loro. Ben presto concepiranno la sensazione di essere gli unici a vedere in un mondo di ciechi. Ecco definito l’ outsider, colui che rimane fuori, e che fa della sua differenza l’elemento centrale del suo destino.
Quando Colin Wilson, la notte di Natale del 1954, concepì l’idea di un libro intitolato L’outsider, non immaginava che avrebbe avuto un successo tale da farne uno dei saggi più influenti e suggestivi del suo secolo. Wilson, che era nato a Leicester 23 anni prima, qualcosa del punto di vista dell’ outsider doveva averlo sperimentato vivendo a Londra in condizioni non molto diverse da quelle di un barbone, che nella bella stagione dormiva nei parchi in un sacco a pelo e di giorno viveva in una sala di lettura del British Museum, leggendo avidamente e disordinatamente i romanzi di Dostoevskij, Kierkegaard e Nietzsche, I sette pilastri della saggezza di T.E. Lawrence, le poesie di William Blake, e un’infinità di altre testimonianze sul problema che gli stava tanto a cuore. Che si potrebbe riassumere in una domanda di sapore prettamente esistenzialista: una volta che si è concepita la certezza dell’irrealtà della vita, com’è possibile continuare a vivere? Quali sono le vie d’uscita disponibili per non soccombere alla disperazione?
Pubblicato nel 1956, L’outsider divenne rapidamente un bestseller, dando l’avvio a una carriera di scrittore sbalorditiva per quantità e varietà, dai saggi sull’occultismo ai romanzi di fantascienza (si trova proprio in questi giorni nelle edicole, ristampato nei «Classici Urania», il suo titolo più famoso, I vampiri dello spazio ). Ma quel libro d’esordio, così brillante e disordinato, doveva rimanere il titolo più famoso di Wilson, morto nel 2013. Stranamente, in Italia ebbe scarsa risonanza, nonostante una traduzione molto tempestiva, firmata da Enzo Siciliano e Aldo Rosselli. Probabilmente, gli nocque un titolo fuorviante come Lo straniero. La nuova edizione italiana (Edizioni di Atlantide) però non è una semplice operazione archeologica. A sessant’anni esatti di distanza, questo classico della controcultura e della filosofia underground è ancora capace di allargare le prospettive, e di suscitare ulteriori domande. Più di questo, cosa si può chiedere a un saggio?
Certo, se lo giudichiamo dal punto di vista accademico, il metodo di Wilson non è inappuntabile, certi giudizi sono poco ponderati, certe letture risultano frettolose. Ma Wilson non voleva fare un’opera di critica letteraria o filosofica. Ed è qui il segreto del fascino resistente della sua opera. Quello che sta a cuore a Wilson non è un argomento tra gli altri della storia della cultura, ma il problema dei problemi, che è quello della libertà, e di come la libertà si configura all’interno della vita, non in una teoria. I libri che interpreta (romanzi, saggi filosofici, diari...) non valgono in sé, ma sono tracce di altrettante esperienze, di vite condotte sul crinale strettissimo che separa l’illuminazione e il fallimento. Perché questa è la vita dell’ outsider, di colui che vede ciò che gli altri non vedono e non attribuisce valore a tutto ciò che per gli altri ha valore. Ma è una vita difficile, una porta stretta. Wilson individua alla perfezione il paradosso che l’ outsider deve affrontare. Lotta per affermare la sua libertà, e nello stesso tempo non ha fede nella realtà del mondo, così come gli altri la accettano passivamente. Ma la libertà si può affermare solo nella realtà. L’ outsider rischia sempre di rimanere imprigionato in una condizione impossibile, poiché «esercitare la libertà in un mondo irreale è impossibile quanto saltare mentre si sta cadendo».
Questa sintesi di Wilson mi suona attualissima, come se fosse stata scritta oggi. Nello stesso tempo, fra il 1956 e il 2016 si è verificato un cambiamento radicale e forse irreversibile, che non è meno interessante e rivelatore. Consideriamo i tre «eroi», i tre perfetti esemplari del tipo dell’ outsider che emergono dal libro, così affollato di presenze, di Wilson. Uno scrittore-soldato come T.E. Lawrence, van Gogh e la sua amara filosofia distillata nelle lettere al fratello, e Vaclav Nižinskij, l’astro della danza moderna che prima di affondare nella follia si lasciò dietro uno sconvolgente diario mistico. Possiamo ammirare Wilson e le sue straordinarie capacità di empatia; ma arriva anche il momento di chiedersi: come è continuata questa storia? Chi sono oggi gli uomini come Lawrence d’Arabia, van Gogh, Nižinskij?
L’esistenza dell’ outsider non è certo un’invenzione di Wilson, e corrisponde a qualcosa di profondamente radicato nella natura umana. Di sicuro, ogni generazione produce i suoi outsider. Devono esistere anche oggi, chiusi nelle loro stanze, o perduti nella folla di una città, mentre esercitano il privilegio e soffrono i tormenti di una seconda vista, svegli in un mondo addormentato. Ma come si esprimono? Aggiornare il libro di Wilson in realtà è un’impresa molto ardua. Per lui era naturale pescare i suoi argomenti nei romanzi, nelle poesie, nelle opere filosofiche di Sartre e di Camus. Oggi il sistema delle arti e del pensiero, nel suo complesso, sembra disertato dagli outsider. Questo non significa che non esistano artisti eccelsi e anche supremi. Ma in questi sessant’anni la divaricazione tra l’arte e l’esperienza vissuta si è talmente ingigantita che si può dire che l’una non abbia più da molto tempo notizie dell’altra. Un romanzo, un quadro, un film ci danno l’impressione di provenire da qualunque tipo di esistenza, perché tutte le esistenze sono uguali. Sempre di più, l’arte è una cerimonia, una prestazione sociale legata al profitto economico e al consenso. Questo può produrre dell’ottima arte, ma difficilmente in un romanzo, o in un film di oggi, troviamo la testimonianza di un percorso visionario, di una metamorfosi interiore nel senso così affascinante in cui ce ne parla Wilson.
Se avesse scritto il suo libro qualche decennio più tardi, difficilmente avrebbe sottovalutato l’opera, ancora così intrecciata alla vita da risultarne indistinguibile, di Philip Dick. Io sono vivo, voi siete morti è il titolo scelto da Emmanuel Carrère per la sua bellissima biografia di Dick, ed è come il motto che potrebbe riassumere la vita di tutti gli outsider. Significativamente, Philip Dick ha influenzato moltissimi artisti, in ogni campo di espressione, ma non ha avuto nessun vero erede, ha chiuso un’epoca invece di aprirne una nuova. Perché la sua è stata un’autentica esperienza di vita, un’esperienza da mistico e visionario, un’esperienza da outsider integrale travestita dall’umile mestiere dello scrittore di fantascienza. Oggi è rimasto solo il mestiere, senza radici nella sostanza interiore più profonda. Forse per sempre, forse temporaneamente, l’ outsider ha abbandonato la maschera dell’artista visionario. Ed oggi è molto difficile riconoscerlo nella folla dei falsi profeti e degli imbonitori di salvezze ed improbabili purezze.