Il Fatto Quotidiano, 15 maggio 2016
L’Unità che punisce l’eccesso di gramscismo. È tutto vero
Pare uno scherzo, o una calunnia messa in giro dai gufi e rosiconi che passano il tempo a fare macumbe per rovesciare il governo che sta cambiando l’Italia. Invece è tutto vero. l’Unità, quotidiano fondato da Antonio Gramsci e sfondato da Erasmo D’Angelis, Fabrizio Rondolino, Chicco Testa & C., ha avviato un procedimento disciplinare contro un suo giornalista per eccesso di gramscismo e berlinguerismo e per difetto di renzismo. Il collega si chiama Massimo Franchi, col quale ci è capitato di polemizzare in passato a proposito del processo Del Turco. Cose che capitano in democrazia. Già, la democrazia: l’Ad dell’Unità renziana Guido Stefanelli, ne ha un concetto per così dire ristretto, liofilizzato. A ottobre ha convocato Franchi e gli ha chiesto ruvidamente conto non di un articolo contrario alla linea editoriale (il che sarebbe già bizzarro, visto che la decide il direttore): ma di due tweet sospetti di lesa renzità. Questi: “Propugnare che Berlinguer sbagliasse su eurocomunismo e questione morale e che invece dovesse allearsi con Craxi è molto renziano”, “Abbassando sempre più la soglia gramsciana dell’intransigenza si ritrovarono in compagnia di revisionisti, faccendieri, piduisti. ‘Ma siamo di sinistra’, rispondono”. Roba forte: parole che l’Ad di RenziNews ha giudicato “travalicanti i limiti del legittimo diritto di critica”. Di qui il procedimento disciplinare, poi revocato dall’illuminato editore non appena Franchi l’ha portato in tribunale.
Ora, ogni lavoratore è libero di scrivere su Twitter, sul suo diario, su un pizzino, su un muro ciò che gli pare. Salvo, si capisce, che danneggi l’azienda per cui lavora. Se Franchi avesse scritto che l’Unità racconta un sacco di balle (cosa peraltro vera), il procedimento disciplinare sarebbe stato legittimo. Sfugge invece il danno arrecato al giornale e agli eventuali lettori dall’elogio di Berlinguer e Gramsci e dalla critica nemmeno a Renzi, ma al renzismo. E comunque l’art. 21 della Costituzione parla chiaro: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. E pure l’art.1 dello Statuto dei Lavoratori: “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche… hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero”. Già, la Costituzione: a furia di inneggiare alle Riforme contro quel pezzo di antiquariato difeso da ottuagenari sdentati, all’Unità credono che non sia più in vigore.
Già, lo Statuto dei Lavoratori: a furia di magnificare gli effetti balsamici del Jobs Act e dell’abolizione dell’art.18, si son fatti l’idea che è stato abrogato da cima a fondo. Franchi comunque, per precauzione, aveva twittato fuori dall’orario di lavoro, a casa sua o per strada. Figurarsi la sua sorpresa quando ha scoperto che l’Ad, anziché preoccuparsi delle corbellerie che escono sotto la storica testata, perde tempo a ficcanasare nei profili Twitter dei dipendenti, come peraltro la “riforma” Renzi-Poletti incita i padroni a fare. Poi la sorpresa dev’essersi tramutata in sconcerto quando nessun provvedimento disciplinare è stato adottato nei confronti di Rondolino che prima ha accusato su Facebook il suo giornale di non essere abbastanza renziano (in effetti mancano ancora Renzi che trebbia il grano a torso nudo e la Boschi che salta nel cerchio di fuoco) e di essere scritto da “personale inadatto”, minacciando un’imprecisata “mannaia prossima ventura”; poi ha attribuito il post a un improbabile hacker; in seguito ha dato dei “fasciomafiosi” a Marco Lillo e al sottoscritto; infine ha paragonato a un “mafiosetto” Roberto Saviano, anche lui – come noi – reo di lesa boschità.
Quindi nella redazione dell’Unità, nelle adiacenze e, per estensione, nelle abitazioni dei redattori, non si può twittare che avevano ragione Gramsci e Berlinguer, mentre si può scrivere che Saviano è un mafioso. A furia di rottamare, verrà presto riabilitato il trattamento Togliatti (“Farò assaggiare al sedere dell’onorevole De Gasperi i miei scarponi chiodati”). Il povero Sergio Staino, vignettista di partito e di governo, ha appena avvisato i pidini non renziani che, “se avessero fatto così negli anni 50 con Togliatti, sarebbero già in Siberia”; e ha accusato l’Anpi, rea di lesa schiforma costituzionale, di “utilizzare il nome sacrosanto dei partigiani per fare una politica bertinottiana, rifondarola”. Quindi difendere la Costituzione è roba da veterocomunisti: gente che minacciava i dissidenti di spedirli in Siberia, per dire.
È la nuova “linea editoriale”, già esplicitata da Orgasmo D’Angelis un mese fa, quando il sito del prestigioso quotidiano spacciò per Virginia Raggi una giovane fan di B. che cantava Meno male che Silvio c’è: e lui, alla domanda perché non avesse rettificato e non si fosse scusato, rispose che non era il caso “perché non è un’operazione politica, ma è giornalismo 2.0”. Tipo la Pravda di Breznev, Cernenko e Andropov, verrebbe da dire se i loro aspiranti emuli non fossero dei nani. E se non avessero almeno l’attenuante dello stress. Provateci voi a star dietro a Renzi, che ogni mattina si sveglia e contraddice quel che ha detto la sera prima. Al direttore dell’Unità è richiesta un’agilità da free climber: un mestiere usurante che neanche Sallusti e Belpietro ai tempi delle piroette del Caimano. Dio non voglia che un domani Renzi metta giù il piede sbagliato e parta con l’elogio a Berlinguer e Gramsci. Quel giorno Orgasmo potrebbe finire sotto procedimento disciplinare e Franchi sulla sua poltrona di direttore. Ma è vita, questa?