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 2016  maggio 15 Domenica calendario

Brexit, migranti e populismo: i mercati hanno paura dell’Europa

A inizio anno sembrava che dalla Cina dipendessero le fortune o le sfortune del mondo:?ogni starnuto alla Borsa di Shanghai diventava panico sui mercati globali. Ora nessuno parla più di Cina. Per molti mesi è stato anche il petrolio a guidare i mercati, in maniera quasi maniacale. Ora, invece, sta emergendo un tema nuovo in grado di generare crescente apprensione sui mercati finanziari: il caso-Europa.
Il mix di rischio Brexit, questione immigrati e crescente populismo è infatti visto dagli investitori come possibile forza disgregante per il Vecchio continente. Come una potenziale bomba futura.
Così, dimenticata la questione cinese e ridimensionata quella petrolifera, gli occhi (in parte umani e in parte robotici) degli investitori hanno iniziato a seguire questo nuovo filone. E a comportarsi di conseguenza. È nata così la nuova moda pre-estiva di un mercato che, come un gregge di tante pecore, non sa fare a meno di cercare un trend da seguire e da easperare. Lo dimostra la crescente correlazione tra la sterlina (che viene direttamente indebolita dal rischio Brexit) e i titoli di Stato dei Paesi periferici. O, ancora meglio, tra la valuta inglese e le azioni delle banche del Sud Europa. Correlazione che stabilisce un nesso diretto, sui mercati finanziari, tra Gran Bretagna e Sud Europa. Tra Brexit e Italia.
Moda primavera-estate 
Per capire questo nuovo trend bisogna fare un passo logico indietro. Se la Gran Bretagna dovesse uscire dall’Unione europea a giugno, a farne le spese maggiori (secondo il pensiero più diffuso tra gli economisti) sarebbero i Paesi del Sud Europa: a penalizzarli sarebbe infatti il timore crescente che l’Europa si sgretoli. Soprattutto perché nella stessa direzione spingono anche altre problematiche, come quella dei migranti (con i suoi effetti su Schengen) e del crescente anti-europeismo. Ebbene: le eventuali turbolenze sui mercati generate da Brexit, pensano in tanti, andrebbero a concentrarsi non solo sulla sterlina ma anche sui Paesi del Sud Europa. Soprattutto Italia e Spagna, perché sono loro i Paesi più vulnerabili agli shock. E Brexit, in un contesto già molto teso in Europa, sarebbe uno shock.
Per prevenire questo rischio, dunque, gli investitori internazionali sono indotti a ridurre già oggi l’esposizione su questi Paesi e a giocare “al ribasso” sulle loro azioni e sulle loro obbligazioni. È esattamente quanto sta già accadendo. La prima valvola di sfogo naturale per questo trend è il mercato dei titoli di Stato: gli investitori sono incentivati a vendere titoli del Sud Europa (come i nostri BTp) e a comprare Bund tedeschi per proteggersi proprio dai pericoli eventuali. Così il rischio Brexit ha – in questa logica – l’effetto di allargare lo spread tra BTp e Bund. E infatti questo sta accadendo: il differenziale Italia-Germania dall’11 marzo (giorno dopo l’annuncio del bazooka di Draghi) ad oggi è salito da 105 punti base a 135. Contemporaneamente la sterlina è scesa, tanto che la correlazione tra valuta inglese e spread è diventata ampiamente negativa: se l’11 gennaio era pari a zero, ora è negativa per 0,44. Questo significa che i due si muovono in direzioni opposte. Sempre più a specchio.
Ma l’effetto Brexit sullo spread è minimo, perché il mercato dei titoli di Stato ormai è “protetto” dalla Bce. «Per questo – nota Patrick Artus, capoeconomista di Natixis – gli investitori che vogliono vendere Sud Europa non lo fanno attraverso i titoli di Stato, se non in minima parte, ma attraverso le azioni delle banche che non sono coperte dalla Bce». Insomma: invece di vendere BTp, gli investitori che vogliono proteggersi da Brexit (o specularci un po’ sopra) vendono la cosa più simile ai BTp: le azioni delle banche italiane. Infatti la correlazione tra sterlina (che usiamo come termometro del rischio Brexit) e azioni bancarie italiane è cresciuta esponenzialmente negli ultimi mesi: era addirittura negativa ai primi di marzo e ora è arrivata a 0,35. Non è un numero elevatissimo (il massimo di questa scala è 1), ma il trend, come si vede nel grafico a fianco, è inequivocabile.
Certo, le banche italiane scendono in questo periodo per molti altri motivi. Nessuno lo nega. Ma, in questo contesto già depresso, il rischio Brexit potrebbe avere un ruolo nell’esasperare le vendite in Borsa. «Le forze centrifughe dentro l’Unione europea stanno diventando un tema di mercato – osserva Artus -. Potrebbe diventare un trend ancora più importante? Dipenderà da come la Bce riuscirà ancora a calmare eventuali acque agitate».
Moda autunno-inverno 
Il nuovo trend europeo sta, in questo ultimo periodo, scalzando quelli che hanno dominato la prima parte dell’anno. A gennaio gli occhi degli investitori erano tutti sulla Cina: ogni oscillazione della Borsa di Shanghai aveva la forza di muovere i listini di tutto il mondo. La correlazione tra il listino cinese e le Borse europee toccava, a quel tempo, quota 0,58. Ora (sebbene i problemi cinesi siano tutt’altro che risolti) i mercati non guardano più questo tema, tanto che la correlazione è scesa sotto zero. È calata, rispetto ai picchi di marzo (0,80) anche la correlazione tra petrolio e Borse: questo significa che il prezzo del barile, che resta un tema di mercato, sta perdendo un po’ di importanza.
Mercati autoreferenziali 
A questo punto non resta che chiedersi come mai le Borse siano così influenzate dalle mode. Perché in certi momenti esasperino alcuni temi in maniera ossessiva, per poi dimenticarli poco dopo. Il motivo va cercato, probabilmente, in due fattori: il crescente automatismo (ormai i mercati sono dominati da algoritmi pre-impostati) e il sempre maggiore uso di Etf da parte degli investitori. Questo aumenta l’effetto-gregge: se tutti si muovono sui mercati in maniera sempre più automatica (seguendo i trend del momento) e investendo direttamente su indici (senza distinguere al loro interno i singoli titoli), è inevitabile che si creino mode artificiose.
«Questo crea bizzarre correlazioni – osserva Artus -, che si rompono improvvisamente». «Gli investitori – aggiunge Antonio Cesarano, capo economista di Mps Capital Services – sono stati abituati per anni a muoversi in base a trend dettati dalle banche centrali. Ora che i trend sono meno netti, loro continuano a cercarli». E – potremmo aggiungere – a impostare le loro strategie tutti insieme con gli stessi paradigmi. Così i movimenti di mercato vengono amplificati. Oggi tocca alle banche italiane, prese di mira per motivi validi ma anche per correlazioni tecniche. Ieri toccava al petrolio o alla Cina. Domani toccherà a qualcun altro, fino al giorno in cui non si deciderà di intervenire su questo eccesso di automazione dei mercati finanziari che rischia di diventare un boomerang globale.