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 2016  maggio 15 Domenica calendario

«La fuga dai fondi è legata all’espandersi dei populismi». Intervista al Nobel Eugene Fama

Il premio Nobel Eugene Fama si augura che la fuga dai fondi di investimento diventi un campanello d’allarme, per spingere ad affrontare finalmente i veri nodi che frenano la crescita: «Le regolamentazioni eccessive, cioè la presenza asfissiante dello Stato. Questo imbriglia oggi l’economia, e limita anche l’attività creditizia delle banche». Tra gli addetti ai lavori, il professore della University of Chicago di origini italiane è soprannominato «The Father of Modern Finance», il padre della finanza moderna. Logico quindi rivolgersi a lui per cercare spiegazioni.
Secondo il Financial Times, nel corso del 2016 sono stati ritirati circa 90 miliardi di dollari dai «global equity funds», la fuga più grave dal 2011. Cosa sta succedendo?
«Io penso che sia soprattutto un fenomeno tecnico. Gli investitori hanno finalmente capito che da questi fondi non ricavano ritorni abbastanza interessanti, e quindi stanno cercando soluzioni più profittevoli o sicure per i loro soldi. Il problema vero, che non sento discutere abbastanza a livello politico, è quello delle ragioni profonde di questa incertezza, che poi sono alla radice della crescita anemica in quasi tutto l’occidente».
Quali sono queste ragioni?
«La continua presenza eccessiva del governo nella gestione dell’economia, attraverso regole che la frenano, a danno di tutti».
Alcuni analisti dicono che è colpa della paura per la Brexit, gli interessi negativi che non danno i risultati auspicati, le elezioni negli Usa e in Spagna, le migrazioni e la minaccia del terrorismo che mettono a rischio l’unità dell’Europa, la Grecia che vacilla ancora, il crollo del prezzo del petrolio, la frenata della Cina, lo spettro di una nuova recessione negli Stati Uniti, e così via.
«Sì, tutto giusto. Però come lo spiegate, ad esempio, che nel mercato edilizio americano, all’origine della crisi del 2008, i capitali abbondano? Perché l’economia degli Stati Uniti, pur andando piano, continua a crescere più velocemente di quella europea? Io credo che tutte queste cause di preoccupazione siano giuste, ma contingenti. La fuga dai fondi forse nasce da questi timori, e potrebbe fermarsi quando alcuni di essi saranno placati. I problemi di fondo invece restano, e l’economia non ripartirà davvero fino a quando non li avremo risolti».
Negli Stati Uniti è in corso la campagna presidenziale: la scelta del nuovo capo della Casa Bianca non dovrebbe essere il momento perfetto per affrontare questo dibattito e trovare le risposte?
«Sì. Ma invece quello che vedo, in America come in Europa, è soprattutto una forte espansione dei populismi, a destra e a sinistra, ossia delle reazioni di pancia emotive e irrazionali».
Il risentimento verso le banche, accusate di essere state la causa della crisi del 2008 con la loro irresponsabilità, non è giustificato?
«Hanno fatto i loro errori, senza dubbio. Ma non è strozzando il credito a colpi di regole che si fa ripartire l’economia. E se l’economia non riparte, la gente normale ne risente almeno quanto le grandi banche».
Gli interventi delle banche centrali, dal quantitative easing della Fed a quello della Bce, fino agli interessi negativi, non erano provvedimenti giusti e necessari?
«Che hanno raggiunto i risultati che potevano, cioè pochi e insufficienti, perché non sono loro ad avere la leva per avviare una crescita forte, durevole e sostenibile».
Gli investitori hanno ritirato 90 miliardi di dollari dagli equity funds per questa ragione?
«Gli investitori hanno ritirato i loro soldi perché pensano di fare più profitti altrove. Nel settore dei fondi si vince a scapito di qualcuno che perde, e quei capitali non sono stati bruciati, sono andati da qualche altra parte. È un fenomeno importante, ma non è la questione fondamentale a cui dovremmo prestare attenzione».
Cosa dovremmo fare?
«La questione fondamentale, che frena l’economia e genera tutta questa incertezza, è la presenza eccessiva dello stato, con le sue regole che paralizzano tutto. Ma invece sentiamo i populisti che parlano del contrario, della necessità di aumentare l’ingerenza, per proteggere i cittadini dagli abusi. Così però i cittadini non avranno più un’economia forte, grazie a cui prosperare».