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 2016  maggio 15 Domenica calendario

Il calcio, i lutti e gli altri cattivi pensieri di Gianni Mura

Ieri il Real Madrid ha giocato con il lutto al braccio. Una volta si metteva la fascia nera per la scomparsa di un dirigente, di un ex giocatore, per un lutto nazionale (terremoto, alluvione). Lutti più o meno vicini. Ieri, per una strage di tifosi del Real a Balad, un’ottantina di km da Bagdad. La loro colpa: stavano guardando una partita di calcio in tv. Tre miliziani dell’Is sono entrati in un bar con kalashnikov e bombe a mano. Morti 18, feriti una trentina. Sono gli ultimi morti di una guerra al pallone che ha fatto decine di vittime in Somalia, in Uganda, in Kenya. In Somalia, per una rigidissima interpretazione della Shari’a da parte del tribunale delle Corti islamiche il calcio è fuori legge dall’agosto del 2006. Ma altrove no. C’è un campionato più o meno regolare, c’è una Nazionale (quella siriana gioca i turni casalinghi in Oman) ma in teoria non si rischia la pelle. In pratica sì. Senza un preciso perché, senza un vero motivo che sia diverso dall’odio. Ci hanno sempre detto che l’amore è cieco. Ma l’odio è ancora più cieco.
Sordo, invece, dovrebbe essere Nibali, oppure insensibile alle voci dell’ammiraglia. Che a volte, intendiamoci, possono essere opportune, altre volte, come nella tappa di Roccaraso meno. La mia idea è che siano sempre inopportune. I ciclisti telecomandati, tutti e non solo Nibali, mi fanno profondamente pena e anche un po’ rabbia, perché sono vittime e complici di una perversione tecnologica. Un campione è tale perché sa decidere da solo, tanto più da quando ha altri strumenti (il cardiofrequenzimetro, ad esempio) che lo tiene aggiornato sul suo corpo, dà un’occhiata al manubrio e sa quanta potenza sta sviluppando. Il campione capisce da sé quand’è il momento di attaccare e in genere attacca in un punto prestabilito (quel tale tornante a sinistra, l’inizio del pavé, un ventaglio a favore) oppure dopo aver osservato il principale avversario. Sta bevendo come un’oca? Smanetta troppo col cambio? Fa strane smorfie? È rimasto senza gregari? Allez, questo è il momento di dargli una botta. E, se risponde, un’altra botta ancora. Il grande ciclismo è stato fatto da uomini non telecomandati. E i primi a doversi opporre a questa patetica robotizzazione sono i grandi ciclisti, quei pochi che restano in circolazione, come Nibali. Al Tour gli dirò cos’avrebbero risposto Merckx e Hinault, ma anche Gimondi, De Vlaeminck, Bitossi, a chi gli avesse proposto un costante collegamento con l’ammiraglia. Non posso scriverlo.Posso scrivere di altri libri. Due di ciclismo. “Il carattere del ciclista” di Giacomo Pellizzari (ed. Utet) inquadra, bene, campioni degli ultimi 50 anni in base a una peculiarità del carattere (il tranquillo, l’umile, l’introverso, l’istintivo). “Fatto di sangue” (ed. Ediciclo) di Francesco Ricci è un romanzo denso, aspro, tra bicicletta e doping. Due di calcio. “Due eroi in panchina”, di Roberto Quartarone, prefazione di Darwin Pastorin, ed. Incontropiede, racconta la storia di Kertesz e Toth-Potya, che allenarono in Italia. Tornati in Ungheria ed entrati nella resistenza, furono fucilati dai nazisti pochi giorni prima della liberazione di Budapest. Carlo F. Chiesa in “Schiavio, il segreto dell’Angelo” (ed. Minerva) fa riscoprire il più grande giocatore della storia del Bologna, colonna anche della Nazionale di Pozzo.
Ultimo dei cattivi pensieri che vanno in vacanza, ma lo scrivente no, è un ricordo di Pinuccio Sciola, l’uomo che faceva suonare le pietre. Grandissimo artista, noto in tutto il mondo dal Belgio alla Cina, in Messico aveva lavorato ai murales con Siqueiros e Rivera. E aveva trasformato il suo paese, San Sperate, in un museo di murales a cielo aperto. La porta della sua casa- laboratorio era sempre aperta, non è un modo di dire. Era un uomo dolce e deciso, un sardo contemporaneo e insieme prenuragico. Grazie (7,5) al Corsera per averlo ricordato con due pezzi nelle pagine della cultura. Il giardino delle pietre sonore, appena fuori paese, era in un aranceto, con le spianate occupate da monoliti scavati, intarsiati. Da 20 anni Pinuccio dava voce alle pietre, accarezzandole, tamburellando con le dita, usando un archetto da violinista. E le pietre rispondevano: quelle calcaree con suoni liquidi, memori dell’acqua, quelle basaltiche con voci più cupe, di terra e di fuoco. Citava un detto inca: “Le pietre sono la spina dorsale della terra”. Al cuore delle pietre e alla memoria del tempo sei arrivato, Pinuccio: ti sia lieve la terra. Ho immaginato, in morte tua, che il vento o la pioggia ispirassero alle sculture nell’aranceto un concerto discordante, un addio da cani abbandonati. Ma forse vi eravate già salutati, i poeti sono sempre in anticipo.